Pensieri al Volo

Volontarius Onlus, Bolzano

Restare umani

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Ilaria Poch è una giovane ragazza di 26 anni. Dopo aver frequentato un corso per diventare assistente alla direzione organizzato dalla Cooperativa Sociale River Equipe Onlus e finanziato dal Fondo Sociale Europeo, a inizio 2016 ha iniziato a lavorare nell’amministrazione di River Equipe, da sempre collaboratrice dell’Associazione Volontarius Onlus. Oggi Ilaria sta per intraprendere nuovi percorsi professionali e, per salutarla, abbiamo deciso di fermarci insieme per una chiacchierata.

Il tuo percorso nel sociale inizia con un corso di assistente alla direzione. Cosa porti con te da quell’esperienza?

È stata un’esperienza forte e introspettiva. Il corso è durato quattro mesi ed eravamo tutte donne. Ero la più giovane e ho avuto l’opportunità di conoscere persone diverse da me, con percorsi di vita anche difficili. Porto con me la consapevolezza di quanto il lavoro entra e cambia la nostra vita. Non me ne ero mai resa conto: il lavoro è capace di influenzare le persone che siamo e di conseguenza anche le persone che ci circondano.

Il lavoro tende a diventare uno stile di vita.

Esatto. Passiamo tre quarti del nostro tempo a lavorare e i nostri colleghi diventano come una seconda famiglia. Per questo motivo per un datore di lavoro è importante sviluppare un ambiente positivo, cercando di portare ai colleghi equilibrio, serenità e fiducia.

Come si inserisce quello che dici nel mondo del sociale, uno dei settori più complessi e delicati del nostro territorio?

In questi anni ho conosciuto tante persone diverse ed è stato bello ascoltarle. Facciamo tutti un lavoro importantissimo, dando veramente il massimo. In generale però penso ci sia un sistema che non permette di svolgere il proprio lavoro in piena tranquillità. La burocrazia è perversa e a volte rischia di ostacolare il valore sociale del nostro lavoro. Se mi permetti un esempio, è come se in una scuola gli insegnanti dovessero improvvisamente occuparsi di burocrazia lasciando in secondo piano le relazioni con i ragazzi. 

Per questo diventa fondamentale la componente del volontariato.

Assolutamente. Spesso basta valorizzare momenti come un caffè o fare qualche sorriso in più per portare entusiasmo, gioia e fiducia nelle persone che si hanno davanti. E se penso per esempio alle persone richiedenti protezione internazionale, hanno un enorme bisogno di fiducia. È meraviglioso il lavoro che fanno certi colleghi. Nonostante tutto, riescono a essere umani fino in fondo.

In generale però penso ci sia un sistema che non permette di svolgere il proprio lavoro in piena tranquillità. La burocrazia è perversa e a volte rischia di ostacolare il valore sociale del nostro lavoro.

Di cosa ha bisogno una persona che lavora nel sociale?

Gli operatori hanno bisogno di vicinanza e di non sentirsi soli. Di qualcuno che li sorregga e mantenga il loro entusiasmo. Hanno bisogno di parlare, di sfogarsi e confrontarsi con persone che non vivono il proprio ambiente. Per questo, ovviamente, servono tempo, risorse e una burocrazia possibilmente meno oppressiva. Se il lavoratore non si sente solo, lavora meglio.

Il sociale è un mondo precario?

Una Onlus non guadagna da nessuna parte, ma senza finanziamenti non può andare avanti e ha bisogno dell’intervento dell’ente pubblico. Ho lavorato nel settore amministrativo e mi sono resa conto di come, nonostante lavoriamo spesso “nell’ombra” di tutti coloro che operano sulla strada o nelle strutture, rappresentiamo la base di tutto il sistema. Il nostro lavoro diventa dare le giuste motivazioni alle istituzioni per contribuire allo sviluppo dei servizi che sono più importanti per la nostra comunità. E diventa importante anche ricordare che noi non siamo delle ditte, ma associazioni che hanno quotidianamente a che fare con persone, con esseri umani. Non possiamo lavorare per categorie, per schemi, come farebbe appunto una ditta. Gli esseri umani vanno fuori dagli schemi e questa sensibilità è ora che venga compresa.

Gli operatori hanno bisogno di vicinanza e di non sentirsi soli.

Chi è stata, in questi anni, la tua “seconda famiglia”?

Sicuramente il gruppo che collabora in amministrazione. Siamo stati una bellissima squadra, sempre unita e sempre disponibile ad aiutarsi nei momenti di bisogno. Adrian, Annalisa, Claude, Flavia, Monica, Monika e Walter mi hanno insegnato davvero tanto. Sono tutte persone che hanno dato tantissimo, anche oltre quello che veniva loro richiesto.

Quali valori hai reso tuoi entrando in Volontarius?

Principalmente il guardare alla persone per quello che sono, rifiutando di chiuderle in categorie. Inizialmente ricordo che ero rimasta molto felice di vedere lo spirito collaborativo che c’era a tutti i livelli. Sono valori che non ci possiamo permettere di dimenticare perché sono alla base della nostra vita, professionale e anche individuale.

Non possiamo lavorare per categorie, per schemi, come farebbe una ditta. Gli esseri umani vanno fuori dagli schemi e questa sensibilità è ora che venga compresa.

È difficile salvaguare questi valori, secondo te?

Molto. Richiede lo sforzo di mettere davanti la persona che hai davanti e non te stesso. Non è scontato nel mondo individualista che viviamo oggi, anzi richiede energie, positività e, soprattutto, fiducia nei confronti dell’altro.

E ce la si fa?

Il mondo che vedo oggi va nella direzione opposta ed è facile cascarci uniformandosi: intorno a me vedo persone che hanno paura dell’amore, dell’amicizia, che provano diffidenza verso gli altri. Ma se non mi fido degli altri, come posso dedicarmi al prossimo? Guarda cosa sta succedendo in Siria. La gente non dice e non fa nulla, forse perché è qualcosa di troppo più grande di noi. Ma, di base, ci dimentichiamo che a morire sono persone, famiglie, bambini. Dobbiamo ribellarci a tutto questo.

Intorno a me vedo persone che hanno paura dell’amore, dell’amicizia, che provano diffidenza verso gli altri. Ma se non mi fido degli altri, come posso dedicarmi al prossimo?

Come?

Nel nostro piccolo, facendo lo sforzo, che è profondamente umano e bello, di creare un nuovo mondo che si regga sulla fiducia reciproca. Vale per un cittadino, per un volontario, per chi lavora sulla strada, in un magazzino o, come me, in amministrazione. È una questione umana e quindi vale per tutti. Restare umani, sempre.

Autore: Luca De Marchi

Classe '95, studia lettere all’università di Trento e collabora da diverso tempo con Volontarius nel raccontare la vita dell’associazione e quella delle persone che, ai margini della società, spesso vengono ignorate; ne porta inoltre testimonianza alla società attraverso i media e gli incontri con i ragazzi nelle scuole e in altri gruppi.

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