Verrà pubblicato nel 2018 il report di ricerca “Indagine conoscitiva sul fenomeno della tratta e dello sfruttamento della prostituzione in Provincia di Bolzano” svolto nel corso del 2017 a cura del ricercatore Sebastiano Benasso dell’Università degli Studi di Genova con la collaborazione di (in ordine alfabetico) Luca De Marchi, Alba Fernandez, Davide Monti e Gina Quiroz dell’Associazione Volontarius Onlus.
“La ricerca”, si legge all’interno del documento, ha voluto “esplorare le traiettorie di vita, le rappresentazioni e gli immaginari di persone che, pur partecipando a un fenomeno estremamente noto e visibile, raramente vengono interpellate in relazione al loro vissuto”. È stato inoltre preso in considerazione anche il versante dei clienti, le cui analisi delle opinioni e motivazioni in Italia è divenuto oggetto di indagine solo di recente.
Gina Quiroz, referente in Volontarius del Progetto Alba, ci racconta questa particolare esperienza.
Come è stato condurre le interviste?
È stato un lavoro difficile, già nel trovare le persone disponibili a essere intervistate abbiamo riscontrato non poche difficoltà. Il nostro target era prevalentemente femminile e molte donne le conosciamo da tempo e ci parliamo più o meno confidenzialmente; il problema è che, al momento di coinvolgerle in una ricerca più formale, anche se anonima, si rifiutavano.
Perché secondo te?
Hanno ritenuto tutte strano che qualcuno si interessasse alla loro opinione. Molte di loro si sentono svalutate ed è emersa anche tanta paura. Mi hanno chiesto: perché adesso, improvvisamente la mia opinione interessa a qualcuno? Poi, come si può facilmente immaginare, persiste la difficoltà nel parlare del proprio passato, vissuto spesso come un ritorno non facilmente condivisibile sul momento.
A livello di linguaggio, hai riscontrato delle difficoltà?
La maggior parte delle interviste sono state condotte in italiano, ma alcune anche in spagnolo. A parte questo, l’uso del linguaggio per parlare di prostituzione non è stato facile. “Prostituzione” è un termine che ha una connotazione negativa, quindi ho cercato di parlare di lavoro, o di “sexwork”, che però non mi piace molto: sono donne che lavorano sulla strada, spesso in condizione di sfruttamento. Punto.
Mi hanno chiesto: perché adesso, improvvisamente la mia opinione interessa a qualcuno?
E loro come si definiscono?
Devo dire che ho sentito usare spesso il termine “puttana”. Per esempio ho sentito dire frasi del tipo “Tanti pensano che io sono una puttana”. Quindi, insomma, l’accezione è sempre negativa, influisce sulla considerazione che le persone hanno di sé ed è colpa nostra se è così diffusa.
Che invito potremmo fare alla nostra comunità per cambiare questo atteggiamento?
Ricordarci che non parliamo mai di prostitute, ma di donne che si prostituiscono. La donna ha una dignità, una vita al di fuori del lavoro che pratica o che è costretta a praticare. La prostituta ci viene automatico pensare che si prostituisca per automatismo, come un’insegnante insegna e una segretaria lavora in segreteria. Ci sono delle sensibilità e delle storie, spesso drammatiche, dietro tutto quanto e non dobbiamo mai perderle di vista.
Le donne sulla strada come vedono la figura del cliente?
Emerge di tutto. Abbiamo rilevato che non esiste un profilo specifico di maschio che fa sesso a pagamento: i clienti sono di tutte le età, sono anziani, adulti e giovani. Le donne mi hanno raccontato che molti di loro sono consuetudinari, cioè amano frequentare sempre la stessa donna, sia sulla strada sia in appartamento. Poi la maggior parte dei clienti sa come muoversi, conosce le dinamiche per ottenere il servizio, che spesso barattano come fosse uno scambio commerciale.
La donna ha una dignità, una vita al di fuori del lavoro che pratica o che è costretta a praticare.
Pure i giovani, quindi, fanno sesso a pagamento. Come te lo spieghi?
Negli ultimi anni l’interesse dei giovani sembra essere aumentato. Da una parte ci sono gli elementi di trasgressione e l’esperienza fuori dal comune, ma credo che in fondo il tema sia la difficoltà che i giovani oggi hanno a relazionarsi con gli altri. Andare con una donna a pagamento è più facile e comodo che corteggiare una ragazza.
La prostituzione andrebbe legalizzata?
Molte donne lo considerano il mestiere più vecchio del mondo e la maggior parte era d’accordo sulla legalizzazione. Essendo un lavoro come gli altri, pagherebbero le tasse. Va ricordato comunque che molte persone vivono questo lavoro come un’esperienza transitoria, per cui non si pongono il problema.
I giovani fanno sesso a pagamento un po’ per trasgressione, ma anche le difficoltà che hanno a relazionarsi con gli altri
E dalle interviste ai clienti cosa è emerso?
C’è da dire che trovare clienti disponibili a raccontarsi non è stato per niente facile. Il sesso, soprattutto quello a pagamento, rappresenta un vero e proprio tabù e, mi verrebbe da pensare, molto più diffuso di quanto si creda.
Insomma: pochi lo ammettono, ma molti ci vanno. Perché?
Motivazioni possono essere, come dicevo prima, la trasgressione e la curiosità, soprattutto per chi ci va una volta e basta. Le motivazioni più forti però sono altre e ben più pericolose: la solitudine, l’incapacità di avere relazioni stabili e la paura di essere rifiutati.
Esiste anche il turismo sessuale.
Sì, molte persone quando vanno a fare piccole gite di gruppo, per esempio con l’occasione di assistere a una partita di calcio. Poi ci sono anche le persone che queste gite le organizzano apposta per vivere questi momenti di totale trasgressione.
È un tema che coinvolge anche il nostro modo di vivere la sessualità.
Esatto. Non se ne parla, ma il nostro modo di vivere la sessualità è profondamente legato alle persone che siamo. Per farti un esempio, quando si toccava il tema dei trans c’era silenzio assoluto da parte dell’uomo, ma le donne ne parlano liberamente come di un fenomeno presente e, anzi, consolidato.
Non se ne parla, ma il nostro modo di vivere la sessualità è profondamente legato alle persone che siamo.
Che tipo di sessualità vive una donna che si prostituisce rispetto a quella del cliente?
Per le donne è emersa l’immagine di un distacco dal proprio corpo: concedo il mio corpo ma non sento, il mio animo è altrove. È una reazione automatica per sopravvivere. Per i maschi rappresenta uno sfogo fisico e, soprattutto, un desiderio di potere utile per superare un’oppressante senso di solitudine. Tra gli anziani, comunque, ci sono anche quelli che frequentano le donne in appartamento soltanto per la compagnia e allora si fanno tagliare i capelli, la barba, preparare la colazione. In questo e molti altri casi l’andare da donne che si prostituiscono diventa riempire un vuoto.
Se dovessi dare un bilancio di questa ricerca?
Ricerche come questa rafforzano l’ipotesi che non c’è un certo tipo di cliente, che quindi non va chiuso in uno stereotipo; e dà voce alle donne, restituendo loro la dignità che loro spetta. Forse nelle grandi città potrebbe funzionare ancora di più e le persone si sentirebbero più tranquille nel raccontare. Bolzano è una città piccola e vive un contesto quasi famigliare, quindi pieno di tabù.