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Volontarius Onlus, Bolzano

I diritti degli “Invisibili”

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Si pensa che le problematiche giuridiche riguardanti le persone senza dimora si limitino all’ambito penale, ma le più frequenti in realtà sono di diritto amministrativo. Nel luglio 2017 è stata presentata a Torino la “Carta dei diritti delle persone senza dimora”, scritta da persone senza tetto come Marco Mascia che, spiega, «è nata da un bisogno di visibilità dei senza dimora che ancora oggi vengono trattati un po’ come i bambini: la tutela dei loro diritti è affermata molto spesso da altri, da chi non vive sulla propria pelle la condizione di indigenza e di povertà e non sa cosa vuol dire vivere in strada».

Il diritto di uscire dalla strada

Le città usano spesso i sistemi di giustizia penale e amministrativa per ridurre la visibilità delle persone senza dimora, spostandole per esempio dai luoghi centrali della città e chiudendo loro i ponti dove dormire. Manca purtroppo il senso di una progettualità che incoraggi ogni persona ad acquisire la consapevolezza dei propri diritti e ad attivarsi di conseguenza. «La Costituzione italiana dà per scontato che abbiamo il diritto di muoverci sul nostro territorio, ma se le persone senza dimora perdono la residenza, perdono automaticamente il presupposto per garantire per esempio i diritti a salute, servizi sociali e voto» afferma Davide Monti, Presidente della Cooperativa Sociale River Equipe Onlus. La base di questa problematica spesso è di natura economica, per cui serve collaborare con le istituzioni per ricordare che si ha a che fare con delle persone che hanno certamente dei doveri, ma anche dei diritti, che tra l’altro variano a seconda che si tratti di persone italiane, comunitarie oppure extracomunitarie.

«È vero anche» prosegue Monti «che la persona senza dimora che chiede il diritto a casa e lavoro, spesso sottovaluta che prima ci sono dei presupposti da soddisfare a livello di stabilità personale, come può accadere avviando un percorso di disintossicazione». Le aspettative delle persone spesso non tengono conto dell’urgenza di far fronte a bisogni che sono altri dal semplice avere un tetto sopra la testa: d’altronde ci sono persone finite in strada pur avendo un lavoro che poteva garantirglielo.

«La strada, che agli occhi di molti può sembrare una scelta di libertà, in realtà non è una scelta» afferma Monti «ma una condizione che rende schiavi di una serie di dinamiche»

«La strada, che agli occhi di molti può sembrare una scelta di libertà, in realtà non è una scelta» afferma Monti «ma una condizione che rende schiavi di una serie di dinamiche». E alla quale è difficile reagire; tra le persone che hanno più difficoltà ci sono quelle che non hanno ancora elaborato o hanno abbandonato il proprio progetto di vita, per il quale sarebbero o erano disposte a fare dei sacrifici.

 

Un cambio culturale

Per offrire alle persone gli strumenti per fuoriuscire dalla loro situazione di stallo, racconta Davide Monti, serve un cambiamento culturale, che parta dall’abbandono delle logiche assistenziali e dal presuppostoche le persone che vivono sulla strada non sono “senza” tetto o “senza” dimora, ma persone con capacità, resilienza e risorse. «Già oggi nei nostri servizi come il punto informativo di piazza Verdi o il centro emergenza freddo lavorano persone con background di marginalità» spiega Monti. L’obiettivo diventa allora unire la tutela delle persone più vulnerabili alla promozione delle capacità di auto-realizzarsi in un percorso di vita.

Le persone che vivono sulla strada non sono “senza” tetto o “senza” dimora, ma persone con capacità, resilienza e risorse.

«Per permettere questo cambio culturale» aggiunge Monti «serve abbandonare l’approccio assistenzialistico, che rischia di essere gratificante e auto-assolutore». Assistere in questa maniera può essere utile nel breve periodo, ma può portare a sostituirsi alla persona che si ha davanti, confondendo i propri bisogni e le proprie priorità con quelle della persona in stato di bisogno che si ha davanti.

Per rendere concreto questo cambiamento la strada da fare è ancora molta. «A volte ho  l’impressione che ci troviamo in mezzo tra chi dice che aiutiamo troppo e chi dice che aiutiamo troppo poco» spiega Monti e aggiunge «bisogna insistere sulle accoglienze di secondo livello, permettendo alle persone di strada di confrontarsi con il vivere in autonomia». Anche per la nostra comunità, quindi, riconoscere che esistono soluzioni nuove e alternative alla grave emarginazione a quelle prese fino a oggi, può essere un passaggio importante; e necessario.

Autore: Luca De Marchi

Classe '95, studia lettere all’università di Trento e collabora da diverso tempo con Volontarius nel raccontare la vita dell’associazione e quella delle persone che, ai margini della società, spesso vengono ignorate; ne porta inoltre testimonianza alla società attraverso i media e gli incontri con i ragazzi nelle scuole e in altri gruppi.

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