Mi chiamo Gersi e vengo da una città piccola con 100 case che si chiama Dibra. Sono nato il 21 settembre 1997. Quest’anno per il mio compleanno un’educatrice mi ha portato a mangiare un gelato e un volontario mi ha regalato una maglietta.
La mia famiglia è composta da 5 persone, i genitori e due fratelli più grandi. Quando ero bambino ho bei ricordi, mi piacciono perché non avevo i problemi della mia famiglia. Adesso mi sembra di avere 70 anni. Io ho lavorato fin da piccolo nel mio paese e sono andato anche in Grecia. Sono andato dalla montagna a 13 anni senza documenti. Ho lavorato con mucche e pecore perché mio padre non può più lavorare per malattia alla schiena. Lui ha lavorato anche a Napoli nelle piantagioni di tabacco. Anche lui faceva il contadino. I miei fratelli hanno 25 e 23 anni e lavorano in Grecia come stagionali. È molto difficile andare avanti.
Quando ho finito la scuola, la nona classe, ho parlato con un mio amico che il suo padre è ricco; io non potevo continuare ad andare a scuola perché anche se ero bravo , i miei voti non mangiano; dopo i voti belli servono perché hai imparato, ma adesso… Ho parlato con lui e si è commosso. Io a quel tempo non piangevo perché pensavo solo a quello che dovevo fare, adesso toccava a me aiutare la mia famiglia. Avevo due strade: la scuola che mi piaceva ed ero bravo o la mia famiglia. Mi ha detto che i soldi per il viaggio li avrebbe trovati lui. Ho aspettato il giorno dopo e mi ha confermato che era tutto a posto, 1200 euro per il mio viaggio che cominciava in quel momento.
Ho voluto parlare con mio padre e gli detto che ormai ero grande, uomo anch’io e dovevo sapere perché la mia famiglia aveva certi problemi. Perché con i miei zii noi non andavamo d’accordo e tra di noi c’è una guerra. Lui mi ha risposto che dovevo solo ascoltare. Mi ha raccontato della guerra che c’era tra le nostre due famiglie e della tradizione che ci obbliga a reagire. Anche in paese dicevano tutti che la faida non poteva finire. Io che sono giovane so come devono andare le cose in Europa e che si può cambiare, ma per mio padre che è nato in quella tradizione è difficile.
Ho deciso che dovevo partire e quando ho trovato i soldi ho cercato il mafioso che mi avrebbe nascosto sul camion. L’ho cercato per due mesi e poi un amico me lo ha fatto vedere. Ci siamo messi d’accordo per andare in Italia. Mi ha chiesto se mio padre lo sapeva e io gli ho risposto che MAI doveva dirglielo.
Lui mi ha detto che va bene e poi anche che lui fa il mafioso per portarmi via ma insieme fa anche una cosa grande per me. Sono tornato a casa e ho fatto un po’ l’attore con mia mamma; ridevo e scherzavo, parlavo e facevo domande e anche lei era contenta. Ma poi ho capito che nel suo cuore ha sentito che c’era qualche cosa di strano. Io ero contento e pensavo “oggi è il mio giorno”.
Per qualche giorno non sono quasi più uscito di casa. Stavo li a guardare tutto, volevo mettere tutto nella mia testa e ricordare la stanza, la casa, i miei animali, la mia famiglia che era a pranzo. Pensavo che per tanti anni non sarei più tornato, fino a quando avrei potuto avere un lavoro per aiutare la mia famiglia. Poi ho chiesto a mio padre se potevo andare a giocare a calcio, perché nella borsa avevo messo i miei vestiti e le cose per la partenza. Ho preso un taxi e l’autista, che era dl mio paese, guardando nello specchietto dietro ha visto i miei occhi rossi con lacrime. Mi ha chiesto e io ho detto solo fai in fretta e portami in città. Ho fatto la prima parte del viaggio nella cabina del camion ma, in Macedonia, il mafioso mi ha fatto andare dietro, nel cassone. In quel tempo, al buio, avevo davanti a me solo la faccia di mia mamma e mio padre. E anche qualche pensiero su quello che avevo fatto; ma cosa ho fatto? Poi, quando siamo arrivati a Trento, ho deciso di scappare dal camion e sono sceso. Erano passate 24 ore e il sole mi ha fatto chiudere gli occhi. Non avevo mai visti così tante persone nere, erano tanti e io ho chiesto a loro dove poter bere; ma parlavo solo in albanese e nessuno mi capiva. Cercavo una fontana, avevo sete e anche fame. Era Marzo e pensavo anche dove dormire, faceva freddo. Ho trovato la stazione e per due notti ho dormito nel sottopassaggio, seduto per terra. Solo una persona si è fermata per chiedermi qualcosa ma non ci siamo capiti.
Cosa pensavi delle persone che passavano e, vedendo un ragazzino seduto per terra, di sera tardi e di notte, non si fermavano per chiederti qualcosa?
Pensavo e speravo che qualcuno si fermasse e mi portasse a dormire al caldo, anche solo per una notte. Solo un cinese, con il furgone, mi ha regalato un sacchetto di patatine. Stavo male, non mi sentivo ne in cielo ne per terra, ero così lì in mezzo, solo e perso.
Ho preso un treno sperando che mi portasse da qualche parte dove trovare qualcosa da mangiare. Sono sceso a Bolzano e difronte alla stazione ho trovato dei ragazzi albanesi. Finalmente potevo parlare con qualcuno. Uno di loro mi ha prestato un cellulare per chiamare casa. Ha risposto mio padre e gli ho detto che ero in Italia. Adesso devo trovare la mia strada e voi non siate tristi per me. Ma io stavo piangendo. Poi quel ragazzo mi ha pagato da mangiare due panini; ecco, allora ho pensato che adesso sono in Italia. Quando gli ho chiesto di indicarmi la Questura mi ha fatto tante domande e non credeva che non avevo nessuno qua ed ero venuto in Italia da solo. Dalla Questura poi mi hanno portato a Casa Rossa dove ho trovato subito altri ragazzi albanesi. Ho chiesto subito dove eravamo e loro mi hanno spiegato tutto. Poi è arrivata Irma, la nostra insegnante albanese e mi ha detto “adesso sei anche tu uno dei nostri ragazzi, un nostro MiSNA”. Allora io ho fatto un sospiro e ho capito che ero finalmente arrivato.
Sono otto mesi che sei a Casa Rossa. Come stai tu? Cosa ti dice il tuo cuore?
Ho parlato con il mio cuore e ho detto che dopo essere partito da solo dal mio Paese, adesso ho trovato delle persone che per me sono diventate un’altra famiglia. Ho anche degli amici ed è venuto il tempo che il mio cuore ha risposto e mi ha detto adesso davvero sei tra persone che ti aiutano e tu devi essere bravo e camminare dritto, lavorare tanto ed essere onesto e rispettare tutto. Solo così potrai andare avanti.
Cosa pensi del Kanun?
Se non ti comporti come la tradizione ti dicono che non sei uomo. Io dico che ci si arrabbia con la bocca, non con le mani. Purtroppo le persone più vecchie ancora sono legate a questo. Bisogna, oltre che cambiare la legge come già è stato fatto, andare in ogni famiglia e spiegare e far capire come è giusto pensare e fare.
ndr: Il Kanun è un codice consuetudinario albanese che risale al 1400 e regola da secoli la vita sociale nelle zone più profonde dell’Albania, soprattutto nel nord. Fra l’altro il codice fissa in maniera rigorosa il diritto di vendicare l’uccisione di un parente, colpendo i parenti maschi dell’assassino fino al terzo grado. Adempiere alla vendetta è considerato un obbligo, pena il disprezzo da parte della collettività.