Dopo un’esperienza con l’Associazione Volontarius, la classe IIID del liceo Torricelli ha aperto un blog per descrivere l’esperienza vissuta. Lo si può trovare a questo link. Di seguito riportiamo una riflessione scritta da Samuel Di Falco della III D.
Oggi è stato un giorno unico.
Era da un po’ che ne parlavamo a scuola e mai me lo sarei immaginato così. La mattina, appena sveglio, non riuscivo a immaginare cosa avrei visto nella mia città, nella città in cui vivo da diciassette anni e che mai avevo guardato così a fondo.
Partii da scuola insieme ad una parte della mia classe per andare in Piazza Verdi vicino al negozio di bici, dove c’è una mensa per i senzatetto e per i profughi: ci avevano avvertito che tante persone lì sarebbero state straniere.
Sulla porta notammo numerose scritte in arabo e in inglese, il piazzale esterno era molto pulito, e la grande stanza interna, dipinta di rosso, molto accogliente. Già a quell’ora mattutina – erano circa le nove – si trovavano lì delle persone, che avevano il sorriso, scherzavano e parlavano: era stranamente incredibile per noi la forza che dimostravano. Un volontario ci ha condotti poi a fare un “tour” ai ponti di Bolzano dove le notti, e non solo, le persone senza tetto cercano di ricrearsi una dimora.
Prima tappa, proprio lì vicino: il ponte Druso. Sulla sporgenza ricavata per il passaggio di alcune tubature tra la volta della campata e i pilastri c’è uno spazio angusto. Lì alcuni senzatetto trascorrevano la notte e il giorno coricati, finché questi spazi sono stati chiusi su richiesta dei residenti.
Seconda tappa, un ponte molto conosciuto e frequentato: ponte Talvera. Tra le travi di ferro, le persone si sono costruiti delle vere e proprie capanne. Spicca all’occhio una costruzione di legno, l’unica chiusa sui quattro lati, con vestiti e oggetti personali ben ordinati e organizzati come in una casa vera e propria. Queste persone non cercano solamente un posto per rifugiarsi, ma di delimitare il loro spazio vitale, di costituirsi una casa; è quello che si percepisce quando ci si avvicina a queste strutture, una sensazione mista al disagio e al sentirsi fuori posto.
Queste persone non cercano solamente un posto per rifugiarsi, ma di delimitare il loro spazio vitale, di costituirsi una casa.
Per non parlare dei pericoli a cui potrebbero andare incontro: le capanne sono sospese tra le travi sopra il fiume o sopra il terreno ad un un’altezza tra i tre e i cinque metri; costruite in cartone, legno e materiali di recupero non danno certo l’idea di essere molto solide.
Di fronte alla stazione centrale, in cima ad una scalinata, passando abbiamo visto addormentato un senzatetto, che le persone nemmeno degnavano di uno sguardo. Questa immagine ci è rimasta molto impressa e ci ha fatto comprendere che essere senzatetto non vuol dire semplicemente non avere una casa fissa ma è una condizione sociale che annulla, agli occhi dei più, la dignità dell’uomo fino a farlo diventare invisibile.
Essere senzatetto non vuol dire semplicemente non avere una casa fissa ma è una condizione sociale che annulla, agli occhi dei più, la dignità dell’uomo fino a farlo diventare invisibile.