Il servizio “Street Work Bz” nasce per avvicinarsi ai giovani in condizione di agio e disagio della città di Bolzano, in particolare alla luce degli episodi avvenuti di recente per mano delle cosiddette “baby-gang”, gruppi di minori che vivono in situazioni dove la famiglia è spesso assente e che riempiono quel vuoto facendo branco nei quartieri attraverso gruppi che dispongono di una gerarchia, quindi di veri e propri leader e regole interne.
«Bisogna stare attenti a chiamarli così» precisa però Giuseppe ‘Beppe’ Caria, operatore di Volontarius «identificare i ragazzi come baby-gang è controproducente perché porta a rafforzare il loro senso di identità, facendoli apparire qualcosa di unico e diverso». In realtà il fenomeno di gruppetti di ragazzi con comportamenti ribelli, anche a Bolzano, è sempre esistito.
Beppe: «Identificare i ragazzi come baby-gang è controproducente perché porta a rafforzare il loro senso di identità, facendoli apparire qualcosa di unico e diverso».
«Abbiamo iniziato monitorando e mappando i quartieri della città» spiega Rossella Zagaria, referente di Street Work Bz per Volontarius «ci siamo concentrati sui quartieri e non sui grandi parchi di Bolzano perché volevamo entrare nei territori di questi giovani», territori che lei stessa chiama “casa”.
I monitoraggi sono avvenuti in bicicletta, dopodiché ci si è cominciati a fermare nei vari quartieri con un camper. «Siamo come dei centri giovani, ma ci muoviamo noi dai ragazzi, non aspettiamo che siano loro a venire da noi» spiega Aleksov Zoran, operatore di Volontarius «molti dei ragazzi nei centri giovani tra l’altro sono stati rifiutati o espulsi per dei precedenti che hanno avuto».
Come si interviene allora? «Con l’ascolto» risponde Zoran «per far emergere quelle che sono le esigenze del singolo ragazzo». A quelle esigenze si cerca poi di rispondere con attività ludico-artistiche. È proprio ciò che sta alla base del termine “educatore”, da “ex-ducere”, tirare fuori. «Non usiamo alcuna forma autoritaria, perché i ragazzi la rifiuterebbero» spiega Beppe «l’approccio è diretto e informale. Io per esempio mi ispiro a come avrei voluto essere approcciato a quell’età».
Zoran: «Siamo come dei centri giovani, ma ci muoviamo noi dai ragazzi, non aspettiamo che siano loro a venire da noi. Molti dei ragazzi nei centri giovani tra l’altro sono stati rifiutati o espulsi per dei precedenti che hanno avuto».
Per questo lavoro di ascolto ed educazione serve molto tempo e, in effetti, solo dopo quasi un anno di attività alcuni ragazzi hanno cominciato ad aspettare e richiedere la presenza degli operatori di Street Work Bz. «Oggi ci cercano, ci chiedono di fare qualcosa, di portarli a fare una gita» spiega Rossella «hanno anche chiare le funzioni delle diverse associazioni». La Strada, infatti, organizza laboratori artistici individualizzati mentre il Forum Prevenzione si focalizza sulla figura del leader del gruppo che, persa autorità a causa dell’arrivo degli educatori, spesso si ritrova a usare qualsiasi mezzo pur di attirare l’attenzione degli altri.
Zagaria: «Oggi ci cercano, ci chiedono di fare qualcosa, di portarli a fare una gita» spiega Rossella «hanno anche chiare le funzioni delle diverse associazioni».
«Attraverso il gioco si presenta un’alternativa di vita e i risultati ci sono» conclude Rossella: sui media si parla meno del fenomeno e alcuni ragazzi di strada hanno addirittura cominciato a intraprendere attività di volontariato con l’Associazione.
Sembrano dire «Portami via da qui» afferma Zoran.
Il lavoro di strada punta sulla diversità e anche il gruppo di Volontarius è multiculturale. Tra gli altri c’è Musa, giovane richiedente asilo dal Gambia. «Musa si è inserito perfettamente nel gruppo e con i ragazzi che incontriamo» spiega Beppe «e grazie a lui abbiamo coinvolto nel progetto anche alcuni minori non accompagnati».
Rossella sta per lasciare Volontarius e ora sta tirando le somme sull’esperienza svolta. In passato ha vissuto esperienze lavorative a Roma e in Romania: «Lì ho visto il vero disagio giovanile. Qui vedo un allarmismo inutile e, come dicevamo prima, controproducente». Con un’espressione un po’ commossa, però conclude: «Mi porto via una domanda. Cosa stiamo sbagliando come comunità? In questi mesi ho incontrato ragazzi di tredici anni che usano psicofarmaci. Mi chiedo: perché? Forse è la solitudine, la mancanza di riferimenti? Io non credo che i ragazzi siano vuoti come molti dicono, ma credo che siano stati svuotati e che non abbiano più la forza di sognare qualcosa».
Zagaria: «Mi porto via una domanda. Cosa stiamo sbagliando come comunità? In questi mesi ho incontrato ragazzi di tredici anni che usano psicofarmaci. Mi chiedo: perché?»
Cosa vale la pena vivere nella vita? Educare i giovani a questa domanda significa stimolarli a discernere ciò che a loro piace e non piace, ciò che è giusto e ciò che non lo è. Significa diventare giovani adulti, persone più consapevoli, più autentiche e, nella propria solitudine lontana dal branco, anche più coraggiose.