Tutti i giorni, nella nostra quotidianità, incontriamo – che lo vogliamo o meno – delle persone che vivono sulla strada. Le incontriamo anche se a volte non le vediamo perché siamo giustamente concentrati su altro. Ma chi sono queste persone? Wikipedia sotto la voce “Senzatetto” include anche quelle di “Senza casa” e “Senza dimora”, l’Enciclopedia Treccani offre invece diverse voci da approfondire. Di chi stiamo parlando: di homeless, di roofless, di clochard?
Se ci chiedessimo quale definizione sia la più adeguata per descrivere le persone che vivono sulla strada, i riscontri che avremmo sarebbero molto diversi e ci farebbero capire come il fenomeno è poco conosciuto e per questo frainteso. FEANTSA, la federeazione europea delle organizzazioni che lavorano con le persone senza dimora, ha addirittura sviluppato, nel 2004, una classificazione che si chiama “Ethos” e si rinnova ogni anno per seguire il cambiamento del fenomeno e uniformare i termini in cui viene discusso.
Pare così che per conoscerla, la realtà della vita di strada bisogna viverla, lavorandoci o trovando il tempo per informarsi adeguatamente. Solo in parte è così. Ci sono delle verità in più che ci possono rendere consapevoli e in seguito attivi nella percezione di questi temi: quando parliamo di persone senza dimora parliamo per prima cosa di Persone. Che ci siano di mezzo percorsi difficili o di ripresa, solidarietà o criminalità, in ogni caso noi sappiamo di avere a che fare con persone. Così avevano scritto i giornali il 16 maggio 2014, quando Elisabeth Fischnaller, signora di Bolzano che per più di dieci anni ha vissuto in strada, è morta.
Sui media è ancora molto frequente sentire parlare di barboni e di clochard, termini che hanno assunto un significato negativo (è il caso di “barbone”, che per metonimia comunque significherebbe semplicemente “persona con folta barba”) o ostentanti falsa delicatezza (è il caso di “clochard”, che deriva da un innocente “clocher”, zoppicare). In entrambi i casi la persona viene messa in secondo piano, nascosta e rinchiusa in una categoria che la rende diversa dal normale, rendendola una potenziale notizia. Sono meccanismi molto sottili e difficili da cambiare, perché interiorizzati tanto tempo fa, senza neanche che lo volessimo.
Se gli schemi di pensiero sono questi, allora è normale leggere sui giornali titoloni di “barboni violenti”, “clochard morti”, “senzatetto sulla strada” o “senzatetto emarginati”. Normale e anche automatico, se vogliamo mantenere questo schema. Se invece vogliamo provare a vivere un nuovo mondo a partire dal nostro sentire, allora il primo passaggio è capire che di fronte a me non ho mai un “tipo di persona”, ma una “persona che vive un tipo di situazione”. Sembra piccolo, ma questo pensiero è rivoluzionario perché di autentica sincerità. Purtroppo non ci siamo più abituati, per stanchezza o pigrizia o quel che sia.
Questo pensiero non ha a che fare solo con i fenomeni di emarginazione sociale. Anzi, per essere autentico deve cominciare da ogni singola persona a partire dal proprio perimetro. Altrimenti non sarà mai una sensibilità sincera, la nostra: sarà sempre legata alle categorie delle persone che ci stanno intorno. Prova, questa è la sfida, a uscire di casa e a guardarti intorno. Ripetiti nella mente finché non ne diventi davvero consapevole, che in questo momento tu sei una persona tra persone. Sentirai la grandezza di questo sentire e la sensazione di essere vivi che ne consegue. Noi ti lanciamo la proposta e siamo sempre qui pronti a rispondere a ogni esigenza, curiosità, impressione. Perché siamo persone tra persone.