La mattina del 22 ottobre il commissario straordinario del Comune ha ordinato di mettere in sicurezza ponte Talvera dopo l’incendio di qualche giorno fa, sgomberando rifiuti, cucine da campo, materassi, sedie e gli altri oggetti lasciati sotto il ponte. Il tutto con inedita rapidità: “per ridare dignità al centro storico e alla città” si è letto.
Siamo d’accordo: vivere sotto i ponti rappresenta una condizione di estrema insicurezza per le persone costrette a vivere sulla strada. Lo sappiamo dalla vita di Elisabeth, che ponte Talvera lo conosceva bene, o dall’aggressione avvenuta un anno fa sotto ponte Roma. Sappiamo anche che d’inverno le persone sono costrette a cercare modi alternativi per riscaldarsi; questa ricerca ha ucciso Hans, conosciuto come “Hans Cassonetto”, la notte di Natale di due anni fa.
Quello che è stato attuato non è il primo sgombero di un ponte. Era già successo l’anno scorso a ponte Virgolo, sotto al quale erano vere e proprie palafitte a ospitare una ventina di persone provenienti dall’Africa centrale, tra le quali c’erano anche donne. Persone che improvvisamente hanno perso la loro abitazione. Immaginiamo se noi dovessimo svegliarci un giorno e improvvisamente scoprissimo che, per ragioni di sicurezza, dobbiamo uscire dalla nostra casa e andare a cercare un altro riparo.
Il Comune ha il diritto e il dovere di far sentire al sicuro i suoi cittadini. I cittadini a loro volta hanno il diritto e il dovere di esprimersi rispetto a come si sentono, se a disagio o se hanno paura. Le persone e le associazioni che lavorano nel sociale hanno poi il compito di ascoltare tutti, dalla persona senza dimora che perde il suo ultimo riparo, alla persona che una casa ce l’ha, ma la sera non se la sente più di uscire. Un compito difficile e molto delicato. Ma questa è l’unica soluzione se vogliamo partire dal pensiero che “ogni persona è importante”.
Per cui da una parte si può comprendere l’intenzione del Comune di mettere repentinamente in sicurezza il ponte Talvera. Dall’altra parte però questo comporta per forza delle reazioni nelle persone che devono spostarsi da quel ponte. E se non sarà ponte Talvera, sarà un altro ponte a essere abitato, e dopo quel ponte ce ne saranno altri. Quando non ci saranno più i ponti, allora il problema sarà risolto, ma “fanno il deserto e lo chiamano pace” scriveva Tacito diversi secoli fa.
La soluzione presa dal Comune è stata giusta e necessaria. Perché il problema è chiaro che non sono le persone, ma il pericolo per la sicurezza che possono recare per esempio accendendo un fuoco per scaldarsi. Ma possono le questioni di sicurezza oltrepassare le persone? Costringerle a spostarsi sotto un altro riparo non può essere una soluzione. L’unica soluzione è imparare ad ascoltarci e a confrontarci con le questioni che ci si pongono di fronte. Che lavoriamo in Comune, in un’associazione o che facciamo volontariato sulla strada o niente di tutto questo, è grazie alla nostra sensibilità e alle cose minime che ne derivano, grazie ai nostri gesti e ai nostri sorrisi, che possiamo salvare tante persone dalle loro situazioni gravi o in bilico. E così facendo possiamo costruire una società senza persone più o meno benestanti e persone sottomesse.
Una società che possa affermare come proprio principio: nessuno senza una casa, a tutti il diritto di trovare la propria.