Pensieri al Volo

Volontarius Onlus, Bolzano

Eritrea

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IMG_20151015_220956822Da ottobre 2014 sono 22.368 le persone transitate alla stazione del Brennero. Da aprile 2015 a Bolzano ne sono transitate circa 14.000; i dati sono forniti dall’associazione Volontarius, presente in entrambe le stazioni dai mesi citati. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni è la popolazione eritrea quella che raggiunge in numeri più grandi le coste italiane. Ma in realtà fare ricerca non serve, attualmente basta uscire di casa e andare in stazione: tantissimi sono i ragazzi e le famiglie dall’Eritrea che stiamo incontrando ogni giorno.

Le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto di ben 483 pagine per spiegare la situazione politica, enonomica e sociale in Eritrea. Nel 2015 è stata definita dall’Onu la “Nord Corea dell’Africa”, dove gli abitanti non possono pensare perché pensare è diventato un crimine. Ogni mese circa 5.000 persone scappano dal paese, lo scorso 14 ottobre la squadra di calcio nazionale ha chiesto asilo per la quarta volta nella sua storia. Un segnale importante della situazione drammatica che stanno vivendo migliaia di persone.

Ma cosa deve soffrire nello specifico una persona che abita in Eritrea? La relazione con le persone che ogni giorno incontriamo e il dialogo con padre Sebhat Ayele hanno lasciato tante nuove consapevolezze e tanti spunti di ricerca, importanti da tenere in considerazione quando ogni giorno abbiamo a che fare con queste persone: chi sei? cos’hai vissuto fino a oggi?

L’Eritrea è un paese con poco più di sei milioni di abitanti (dato fornito dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità). Fino al 1941 è stata una colonia italiana, infatti la presenza italiana nel paese è stata notevole e figure come quella di Mussolini a volte sono ancora ricordate dai giovani che incontriamo in stazione; qualcuno conosce anche qualche parola di italiano, l’ha imparata dai nonni.

Attraverso questa foto scattata ad Asmara da Jenny Vaughan si può capire quanto la cultura italiana sia rimasta nel paese. Molte persone che visitano la capitale poi riconoscono la stretta somiglianza con alcune città della nostra penisola.

TO GO WITH AFP STORY BY JENNY VAUGHAN A woman walks past the Farmacia Centrale in Asmara, the capital of Eritrea, on July 21, 2013. Eritrea's capital Asmara boasts buildings unlike anywhere else in Africa, a legacy of its Italian colonial past, when architects were given free reign for structures judged too avant garde back home. Yet while many of the buildings survived unscathed from a decades long liberation war from Ethiopia that ravaged settlements elsewhere, today, preservation and restoration projects have been hampered, threatening to erode the country's rich cultural heritage. AFP PHOTOS / JENNY VAUGHAN (Photo credit should read JENNY VAUGHAN/AFP/Getty Images)

L’Eritrea si trova nella parte orientale del Corno d’Africa ed è uno stato indipendente dal 1991, dopo trent’anni di guerra con l’Etiopia, quando l’attuale presidente Isaias Afewerki è stato eletto dall’Assemblea Nazionale. Da allora nessun partito dell’opposizione ha avuto voce nel paese e non è stata promulgata neanche una costituzione, elemento base per la costruzione di uno stato democratico.

Anche la cultura è rimasta soffocata dal governo: l’unica università che c’era era un’università comboniana ed è stata chiusa. Le persone alla radio ascoltano sempre la stessa stazione del governo. Devono leggere sempre gli stessi giornali: il governo mette a disposizione un quotidiaeritreano e una rivista settimanale. Lo stesso vale per le stazioni della televisione: una generica e una per lo sport: del governo.

In Eritrea non esistono imprese private. Le persone quando vanno a fare la spesa devono farla presso i negozi del governo utilizzando dei coupon, rivolgersi al mercato nero infatti costa estremamente di più. I contadini sono costretti a vendere i loro prodotti al governo a prezzi che il governo stesso decide: molti, piuttosto, decidono che è meglio bruciare il proprio raccolto.

I ragazzi e le ragazze sono costretti a oltre dieci anni servizio militare obbligatorio e percepiscono uno stipendio di solo dieci dollari mensili. Inoltre gli uomini sotto i 53 anni e le donne sotto i 47 non possono lasciare il paese legalmente.

Chiedersi perché le persone stanno fuggendo a migliaia è una domanda scontata, a questo punto. Non tutti sanno però che la fuga è spesso pericolosa quanto la permanenza nel paese. Innanzitutto dai racconti di tante persone che abbiamo incontrato sappiamo che i trafficanti umani sono funzionari e militari del governo eritreo. Poi nel paese e fuori dal pese la tortura e la schiavitù sono all’ordine del giorno e il rischio di incontrare durante il viaggio le persone sbagliate è sempre alto.

Vivere l’aiuto che si offre alle persone che fuggono partendo da una consapevolezza del loro passato ci rende autentici. Tanti volontari in questi mesi hanno conosciuto le storie delle persone che sono arrivate in stazione, tanti invece preferiscono non chiederla. A volte le storie emergono da sè, a volte sono le persone stesse ad avvertire il bisogno di parlare e di raccontare, tirando fuori il dolore e la frustrazione subite. La vicinanza dei volontari in stazione per questo è fondamentale: un ascolto che restituisce alle persone la dignità che hanno sentito violata. Ma l’ascolto non nasce per forza da delle domande: “chi sei?”, “perché sei qui?” sono domande superflue e che possono rischiare di ferire l’initmità delle persone. Per questo è importante nutrire una consapevolezza a priori della realtà con la quale si ha a che fare.

In questo senso per un approfondimento sulla storia dell’Eritrea rimandiamo a un articolo di Riccardo Barlaam sul Sole24Ore, uscito all’inizio dell’estate 2015. Per approfondimenti di vario tipo sul paese invece il giornale The Guardian ha dedicato una pagina speciale.

 

Autore: Luca De Marchi

Classe '95, studia lettere all’università di Trento e collabora da diverso tempo con Volontarius nel raccontare la vita dell’associazione e quella delle persone che, ai margini della società, spesso vengono ignorate; ne porta inoltre testimonianza alla società attraverso i media e gli incontri con i ragazzi nelle scuole e in altri gruppi.

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