Sentiamo parlare spesso di “generazioni bruciate” e di giovani che “non sanno più divertirsi”. Sembra che le nuove generazioni siano sempre più il riflesso di una società che sta degenerando nell’ignoranza e nell’indifferenza. Tuttavia chi muove queste critiche è quasi sempre chi, questa società, l’ha già fatta degenerare da tempo e, parlandone, non le offre grandi prospettive.
Oggi siamo stati in una classe terza della scuola media Archimede di Bolzano. Abbiamo parlato di persone, del nostro modo di vivere il mondo che ci circonda e ci siamo fermati a parlare delle persone che fuggono dai propri paesi, quelle persone che stanno riempiendo i telegiornali e i discorsi: i “profughi”. Abbiamo cercato di capire insieme cosa significa fuggire dal proprio paese, immedesimandoci nelle storie che abbiamo raccolto da diverse persone.
Chi muove queste critiche è quasi sempre chi, questa società, l’ha già fatta degenerare da tempo e, parlandone, non le offre grandi prospettive.
«Hai un minuto per scappare, stanno venendo a prenderti. Cosa porti via con te?» è una domanda che poniamo come sfida ai ragazzi. Sono tanti gli spunti interessanti che emergono, ma questa volta sono emerse due immagini particolarmente profonde che ci hanno spinti a scriverne.
«Raccolgo da terra una foglia. La prima che capita. Mi ricorderà il mio paese quando sarò lontano»
Un ragazzo di tredici anni è riuscito a evocare in un elemento tutta la nostalgia che provano tantissime persone. Ha avuto il coraggio e ha fatto lo sforzo di cercare dentro a se stesso l’intensità di un’emozione che a questa età spesso non si conosce neanche. Non solo; trovata l’emozione, è stato in grado di riprodurla, viverla e di trovare un oggetto che la potesse rievocare: una foglia.
«Porto con me l’anima per tenermi stretto il ricordo di chi sono io e per non perdere la mia identità durante il viaggio»
L’anima. Porto con me la mia anima. Un messaggio potentissimo, il segnale che le nuove generazioni sanno avere occhi e cuore bene aperti. Basta stimolare e sviluppare questa loro sensibilità che già hanno, questa capacità unica di sapersi immedesimare negli altri e con un’intensità che da adulti si tende a perdere nel marasma degli impegni, dei pensieri, delle ambizioni personali che mettono in primo piano se stessi e gli obiettivi lasciando indietro gli altri.
Questa capacità unica di sapersi immedesimare negli altri e con un’intensità che da adulti si tende a perdere nel marasma degli impegni, dei pensieri, delle ambizioni personali che mettono in primo piano se stessi e gli obiettivi lasciando indietro gli altri.
Sono tanti i ragazzi delle scuole elementari, medie e superiori e dell’università che stiamo incontrando. Tutti ci stanno regalando entusiasmo e voglia di discutere e mettersi in gioco. Perché i giovani hanno bisogno di sentirsi messi in gioco. Hanno bisogno di essere stimolati con nuovi pensieri e nuovi stili di vita, anche contagiandosi a vicenda. Bisogna insistere sui ragazzi, ma insistere non significa responsabilizzarli del presente, né incaricarli del futuro. Significa renderli consapevolmente partecipi della realtà che ci circonda.
“The child is father of the man” scrisse più di due secoli fa William Wordsworth in una sua poesia. E viene da pensare che ci aveva preso.
Bisogna insistere sui ragazzi, ma insistere non significa responsabilizzarli del presente, né incaricarli del futuro. Significa renderli consapevolmente partecipi della realtà che ci circonda.