Pensieri al Volo

Volontarius Onlus, Bolzano

Parole sfruttate. Io sento prima di pensare?

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Scrivere di temi delicati come quelli che riguardano gli esseri umani, non è uno scherzo. Ogni parola va pesata e valutata, ma spesso il poco tempo e la pigrizia non permettono questo sforzo. Eppure se imparassimo a essere sinceri con le parole che utilizziamo, faremmo sicuramente più attenzione anche a quello che pensiamo e a come ragioniamo in generale.

Conoscere e saper usare le parole significa fermarsi non solo prima di parlare, ma addirittura prima di pensare. Perché prima di pensare si comincia a sentire. E il sentire è il senso umano più intenso, anche se purtroppo rischiamo di smarrirlo. Sono troppe le distrazioni che ci abituano a pensare che il possedere è più comodo del vuoto sentire. Il nostro sistema, ai discorsi astratti sul “sentire” preferisce la concretezza del possesso. Ma felicità è possedere l’ultimo modello di un apparecchio o è quell’emozione che capita ogni tanto quando ci rendiamo conto di stare vivendo un momento, anche di un secondo, piacevole della nostra vita?

Arrivare alle persone attraverso le parole è una sfida difficile, perché le parole costruiscono nuovi tipi di realtà: attraverso le parole si diffondono inconsapevolmente delle vere e proprie reti di relazioni tra chi scrive, parla, pensa o legge.

La solitudine non esiste se una parola comincia a descriverla, perché da qualche parte un’altra persona starà vivendo o avrà vissuto quello stesso stato d’animo che avrebbe descritto con quelle stesse parole; le due persone saranno così – inconsapevolmente – insieme. Le parole passano di bocca in bocca e assumono sfumature particolari, intrise della storia delle persone che le pronunciano. Le parole diventano qualcosa di intimo dell’uomo e l’ascolto diventa un’opportunità di conoscere l’intimità di chi parla, di entrare e vivere attraverso il suo sentire. Tommaso Campanella, un umanista, chiamava questa azione “illuiarsi” nell’altro.

Le parole sono qualcosa di personale, abbiamo detto. Ma possono cambiare il mondo? Sono secoli che l’uomo cerca di imporre i propri pensieri e la propria politica sul mondo che lo circonda. Troppe parole vengono tuttora catturate, consumate, violentate, frustate, sfruttate dagli ideali di chi non sa come concretizzare il proprio pensiero nella vita di tutti i giorni partendo da se stesso.
Si sente quando una parola è utilizzata con l’umiltà che le spetta e quando invece diventa un semplice veicolo d’informazione; lo si avverte quando una parola viene vissuta prima di essere espressa e quando invece viene detta per circostanza. Nell’utilizzo delle parole scopriamo tutti i giorni un sistema politico, giornalistico, pubblicistico indifferenti e ignoranti. Sistemi che se solo cambiassero il proprio atteggiamento rispetto a quello che fanno, anche solo partendo dall’utilizzo delle parole che usano, cambierebbero sicuramente una buona fetta del proprio mondo.

Perché il mondo con le parole si può cambiare. Per esempio possiamo fare in modo di non attribuire più delle etichette alle persone: gli studenti sono ragazzi che studiano, le studentesse sono ragazze che studiano, i professori sono persone che insegnano, i senza dimora sono persone che vivono sulla strada, le prostitute sono donne che si prostituiscono, i profughi sono persone che fuggono. Saremmo così in grado di porci nell’ottica di restituire a queste “categorie” di persone la dignità di sentirsi persone e basta, una dignità che tutti otteniamo quando veniamo al mondo.

Le prostitute e i profughi li posso “spostare da qua a là”, come ci sta capitando di leggere sui giornali o di sentire in alcuni discorsi, ma se parlassimo di persone dire “spostare” non ci verrebbe neanche in mente.

Se anche una sola persona cominciasse a credere in questo pensiero, il mondo probabilmente non cambiarebbe, ma quella persona sì – e sarebbe più felice.

Ma tanto i discorsi intorno alle parole sono solo discorsi.

 

Autore: Luca De Marchi

Classe '95, studia lettere all’università di Trento e collabora da diverso tempo con Volontarius nel raccontare la vita dell’associazione e quella delle persone che, ai margini della società, spesso vengono ignorate; ne porta inoltre testimonianza alla società attraverso i media e gli incontri con i ragazzi nelle scuole e in altri gruppi.

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