Pensieri al Volo

Volontarius Onlus, Bolzano

Un posto sicuro, protetto e accogliente

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Diana ha 28 anni, è la responsabile dell’unità di strada Volontarius e sta facendo un master in Innovation and research for social work and social education presso l’università di Bolzano. La incontriamo per parlare dei Centri Emergenza Freddo, luoghi che riguardano persone senza dimora, ma non solo.

Negli ultimi mesi il tema delle persone che si trovano a vivere sulla strada è stato al centro dell’attenzione di tutti. Si tratta di un tema che tuttavia esiste da diversi anni, anche se nascosto – forse perché è un mondo che tende a svolgersi di notte, lontano dagli occhi di tanti. Volontarius stessa nasce come unità di strada per le persone che non hanno un tetto e una dimora. Nasce da un camper, una casa mobile che si sposta e viene in appoggio alle persone che ne hanno bisogno. E’ una questione che ci interessa da anni e che, quest’anno, è stata riassunta all’interno di una relazione presentata da Diana stessa in occasione del convegno “Chiedimi se la strada è una scelta” di Volontarius. La si può trovare al seguente indirizzo.

Cos’è un “Centro Emergenza Freddo”?
Il Centro Emergenza Freddo esiste da più di dieci anni ed è una struttura notturna in via Macello destinata alle persone che vivono sulla strada. Apre quando il clima diventa più freddo, quindi da novembre a fine marzo, per dare la possibilità alle persone di dormire in una casa, in un luogo dove fare la doccia prima di dormire e la colazione prima di uscire.

Com’è stata l’esperienza di quest’anno?
Come gli altri anni è stata un’esperienza molto forte. Forte perché incontriamo delle persone che vivono sulla strada e che quindi sono anche deboli e hanno bisogno di sostegno. In tanti vivono anche dei loro traumi personali. Nonostante questo gli operatori sono riusciti a creare dei legami con molti degli ospiti; sicuramente in queste situazioni è doveroso mantenere una distanza professionale, che varia a seconda dei casi.

La cosa più importante però è mantenere il rispetto verso la persona per accoglierla in modo umano, per farle capire che è la benvenuta. Il Centro Emergenza Freddo vuole essere un posto sicuro, protetto e accogliente.

Quest’anno hanno aperto dei nuovi Centri Emergenza Freddo. Perché?
Verso novembre e inizio dicembre sono arrivate circa 120 persone richiedenti protezione riammesse da paesi nordeuropei, come la Scandinavia e la Germania. Queste persone sono tornate in Italia e sono rimaste a Bolzano. Hanno frequentato il camper presso il parco della stazione per ricevere del cibo e alla fine per la notte sono stati aperti altri due dormitori: a novembre il Centro Emergenza Freddo 2 nell’area di Salewa con 40 posti letto e a fine dicembre, visto che le persone sulla strada continuavano ad aumentare, il Centro Emergenza Freddo 3 all’ex panificio Lemayr con 100 posti letto.

Tutti questi 120 profughi hanno trovato ospitalità?
Purtroppo no, abbiamo sempre avuto persone rimaste sulla strada. Ora non parlo solo di profughi ma anche di persone senza dimora e senza tetto. E questo indipendentemente da quella frangia di persone che sceglie di non accedere alle strutture per una serie di problemi personali che li portano a non sopportare l’ambiente chiuso.

A livello organizzativo cosa ha significato per l’unità di strada Volontarius l’apertura di questi nuovi centri?
Abbiamo dovuto formare due nuove equipe, per prima cosa facendo in modo che si trovassero bene tra di loro: questo lavoro si può fare solo se si sa lavorare bene in squadra. Poi abbiamo dovuto anche trovare del materiale, organizzare i letti, le coperte, gli asciugamani e le colazioni. Infine, ma non per importanza, abbiamo organizzato tutte le procedure, gli orari da tenere con gli ospiti e così via.

Devono esserci chiaramente delle regole; da questo punto di vista non parliamo di un dormitorio, ma più di una casa.

Quali sono state le problematicità riscontrate? e quali i punti positivi?
Come primo punto le difficoltà sono state a livello linguistico perché tanti profughi non parlavano italiano e tedesco e neanche sempre l’inglese. Per fortuna abbiamo avuto qualche operatore che parlava più di due, qualcuno anche oltre cinque o sei lingue. Poi ci sono i diversi traumi personali degli ospiti da affrontare. Positivo è stato lo sviluppo delle relazioni tra operatori e ospiti ma anche tra ospiti e ospiti.

Quest’anno il 31 marzo alla chiusura dei Centri Emergenza Freddo c’è stata una novità.
Si è deciso di lasciare aperti i due Centri Emergenza Freddo Salewa e Lemayr e crearne delle Case di Accoglienza profughi per richiedenti protezione internazionale: sono nate così la Casa di Accoglienza profughi areale Salewa e la Casa Accoglienza profughi ex-Lemayr, per un totale di 140 posti letto. Anche a livello di comunità si tratta di un segnale molto forte, soprattutto nell’ottica di sviluppo di comunità che ci è molto cara [cnf l’intervista a Miriam, referente di Street Lab].

Capita, per fortuna non spesso, che in questi centri arrivino anche dei ragazzi minorenni. Cosa succede in quel caso?
Per prima cosa è giusto precisare che i minori vengono accolti solo quando negli altri centri i posti per loro non erano più disponibili. Per un periodo breve sono stati accolti o in via Macello o al centro areale Salewa. In ogni caso i minori ricevono una stanza per loro, con un bagno a parte e con la possibilità di chudersi in camera. La stanza si trova di fianco all’ufficio degli operatri.

I ragazzi sono sempre stati sorvegliati e direi addirittura coccolati.

Dall’alto della tua esperienza, che lettura puoi dare della presenza nelle strutture delle persone senza dimora e delle persone richiedenti protezione internazionale?

Le persone richiedenti protezione le abbiamo viste soprattutto come futuri cittadini italiani, quindi nelle nostre strutture doveva avvenire il primo passo verso l’integrazione. Gli operatori hanno provato e stanno ancora provando a iniziare dei progetti più individuali: un sostegno linguistico visto che qui in Alto Adige ne parliamo addirittura tre, e una formazione civica perché le nostre regole sono diverse dalle loro. Molto importante sarebbe infine trovare un sostegno psicologico. Perché parliamo di persone in fuga dalla guerra e da diversi problemi e traumi. Serve un sostegno che vada oltre per vivere questi traumi e affrontare le sfide della nuova vita.

Autore: Redazione

La Redazione del Gruppo Volontarius è raggiungibile all'indirizzo redazione@volontarius.it. Oltre agli articoli per Pensieri al Volo, pubblica il giornale trimestrale VolInforma, mantiene aggiornata la presenza sul sito web e sui social e porta avanti diversi progetti di sensibilizzazione, a partire da quelli scolastici.

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