Nei giorni che si avvicinano al Natale si è portati dentro una serie di situazioni spesso condizionate. La frenesia delle feste, la ricerca dei regali, i problemi legati ai parenti ed a pranzi e cene da organizzare. Poi ci sono tutti quelli del circuito “siamo più buoni”; allora collette, offerte, Telethon e siamo a posto. Oddio, tutte cose degne della massima considerazione, se non ci fossero sarebbe ancora più difficile.
Mi torna in mente però una delle prime azioni che Papa Francesco ha proposto nel suo inizio di pontificato, la visita a Lampedusa. Mi aveva molto colpito, allora, la domanda che il Papa si era posto e ci aveva proposto: “ chi piange per queste persone?”.
Ed allora voglio andare avanti nella scia della provocazione di Francesco; in Alto Adige siamo circa 520.000 abitanti. Tra noi ci sono circa 900 perone che vengono da altri Paesi perché la dove sono nate non sono libere di vivere. Sono persone che vanno dai 13 ai 35 anni circa. Le istituzioni mettono a disposizione tutta una serie di interventi per creare le condizioni di vita basilari per queste persone, attraverso l’impegno di organizzazioni di professionisti e volontari. Con tante difficoltà e molto da imparare ma possiamo dire che il sistema può funzionare. Più o meno.
Ma quanti davvero piangono per loro? Cosa significa piangere per qualcuno che è in mezzo a noi e non ha niente? E attenzione, non mi riferisco solo a chi ha perso tutto per una guerra, ma anche chi a casa non magia, non può costruire un futuro, vive situazioni a rischio per se e i propri figli. Se sai che il tuo bambino può essere storpiato, torturato, ucciso, non preferiresti vederlo partire con due trafficanti di uomini che lo portano in Italia, anche se da solo? Questo succede anche con bambini di 12 – 13 anni. Non vado a chiedermi le cause di questi disastri. Riesco a vedere l’infinito dolore di queste persone.
Piangere per loro non significa pensare e dire poverini, quanto mi fanno pena, vado alla stazione, passo lì un po’ di ore, do un fazzoletto profumato, qualche biscotto, prendo in braccio i bimbi e mi faccio un selfie da mettere su Fb…
Piangere per loro, anzi con loro, potrebbe voler dire che mi occupo di uno di loro. Si, proprio di uno in particolare; guarda, voglio esagerare, vado contro le regole: mi lascio condizionare da tutta una serie di segnali che inevitabilmente riceviamo quando entriamo in contatto con le persone; non arrivo a dire che scelgo, ma ascolto il mio cuore, attivo il mio cervello, collego i due enti e mi faccio prossimo, mi prendo cura di una persona. Moltissimi di noi possono rappresentare una possibilità infinita di opportunità umane, abitative, di studio e professionali per uno di questi ragazzi. Una nuova vita da scoprire e costruire insieme. 520.000 a 900. Ce la potremmo fare!