Il mondo del sociale è pieno di termini tecnici: operatore “sociale”, “umanitario”, “streetworker”. Anche quando si parla di persone che lavorano con i giovani troviamo diverse parole: “animatore”, “insegnante”, “maestro”, “educatore”. Le parole trasmettono quello che siamo e per questo motivo vale la pena soffermarsi su “educatore”, termine poco usato ma importante: insegnanti, operatori, animatori dovrebbero puntare tutti a essere “educatori”.
“Educare” deriva dal latino ex-ducere, tirare fuori: chi educa lascia emergere dalla persona che ha di fronte quello che è, la sua personalità, le sue esigenze e le sue paure. È chiaro che per questo servono tempo ed energie, risorse difficili nell’era della rapidità e degli automatismi che viviamo, quindi la domanda è spontanea: quanti educatori aspirano a essere tali e quanti invece si accontentano di essere “operatori”? (dal latino operator, per Treccani “chi compie determinate azioni, perlopiù abitualmente”).
Un educatore è una persona che non parte dal presupposto di fare un lavoro, né di dover insegnare o peggio imporre qualcosa agli altri. Ma è vero che un educatore si confronta ogni giorno con un sistema che non si basa sull’importanza della persona – che richiede appunto risorse e tempo – ma sul profitto, sui progetti, sui programmi scolastici.
Quanti educatori aspirano a essere tali e quanti invece si accontentano di essere “operatori”?
Se basassimo il nostro pensiero sull’importanza della persona, che ha un valore innato e che va rimessa al centro del nostro pensiero, non sentiremmo parlare di giovani per tutto quello che “non” fanno, né partiremmo dal presupposto che tutto quello che li riguarda è sbagliato: non criticherò l’uso del cellulare, piuttosto cercherò di capire quali stimoli il suo utilizzo comporta; non imporrò delle rigide regole, non dirò quello che bisogna fare, ma cercherò di scoprirlo insieme a lui. Educare non significa trasmettere quello che si pensa essere bene per gli altri, o costruire dei “progetti” sulle persone che incontro. Significa vivere un percorso, costruendolo.
Con questa consapevolezza il nostro esserci e operare ha l’obiettivo di rimettere al centro del proprio pensiero la persona. Un valido esempio lo fornisce Street Lab, un camper che si sposta nei parchi di Bolzano per proporre ai giovani compagnia e attività: nel 2016 si è stabilito al parco Premstaller di via Dolomiti, dove fino a fine settembre ha condiviso gli spazi con famiglie, bambini, ragazzi e con le persone richiedenti protezione internazionale ospitate nelle vicine case d’accoglienza. In un’ottica di sviluppo di comunità, da una situazione iniziale di continui disagi e timori, si è giunti a una riuscita convivenza.
Street Lab è partito dal presupposto culturale (dal latino colere, coltivare) di conoscere le persone che incontra, prima di intervenire: senza alcun target preciso, Street Lab ha finito così per proporre, in alternativa e in confronto ai centri giovanili, un camper all’aperto, mobile e dinamico. Il principio è quello di cercare la persona e adattarsi al suo ambiente.
Street Lab è partito dal presupposto culturale (dal latino colere, coltivare) di conoscere le persone che incontra, prima di intervenire
“Vai, fai e conosci” ci sembra allora l’unico insegnamento possibile per un vero educatore. Un vero educatore lo si riconosce dagli occhi, si capisce subito quando costruisce un percorso con gli altri, quando lo vive. E non è solo una questione di età: un giovane può educare un adulto, nel senso che abbiamo inteso tra queste righe, così come un giovane un altro giovane o un adulto un altro adulto. Cambia il modo di intendere il mondo: il giovane, in questo senso, non esiste.