In un’ampia prospettiva lo spostamento di 65 milioni di persone ha determinato la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra, con profondi cambiamenti sociali e culturali che ancora non conosciamo. Un incontro culturale, anche se in una prospettiva più ristretta, è stato quello che si è tenuto giovedì 1 dicembre quando abbiamo presentato, insieme al Centro Missionario Diocesano, un nuovo sussidio per l’alfabetizzazione. Un momento che ha incluso anche un dibattito sul metodo più efficace per insegnare la lingua alle persone provenienti da altri paesi.
Certo è che siamo ancora all’inizio e che c’è da lavorare. «Stiamo disponendo un’analisi del fenomeno più precisa, ma circa il 10-15% delle persone ospitate nelle nostre strutture potrebbe essere analfabeta» ha spiegato il presidente dell’associazione Volontarius Claude Rotelli «Per questo abbiamo sviluppato un gruppo di otto insegnanti e una trentina di volontari che danno un importante supporto». Un gruppo che costantemente si confronta con persone che non sanno leggere né scrivere nemmeno nella loro lingua.
I due libri che compongono il sussidio per l’alfabetizzazione (uno per imparare a leggere e scrivere, uno per imparare a contare) sono stati scritti secondo il metodo sperimentato da Paola Vismara, vicedirettrice del Centro Missionario Diocesano. Paola ha vissuto in Sud Sudan, Chad e in Repubblica Centrafricana, luoghi nei quali l’istruzione primaria è facoltativa e non gratuita. «Di solito non ho problemi a parlare in pubblico» dice «ma oggi ho nel cuore undici anni trascorsi in Africa».
Senza nascondere un giustificato orgoglio, Paola sottolinea di non aver alcuna laurea, ma semplicemente «la fortuna di andare a scuola». L’idea del sussidio nasce a Casa Conte Forni, quando Paola ha incontrato un ragazzo del Bangladesh che l’ha colpita perché parlava bene ma non riusciva a leggere: «Un giorno l’ho preso da parte e gli ho chiesto di scrivermi la parola “mano”, ma non riusciva».
L’idea del sussidio nasce quando Paola ha incontrato un ragazzo del Bangladesh che parlava bene ma non riusciva a leggere: «Un giorno l’ho preso da parte e gli ho chiesto di scrivermi la parola “mano”, ma non riusciva».
Le condizioni di analfabetismo non comportano solo difficoltà concrete nella vita di tutti giorni, ma colpiscono l’autostima e, se non emergono durante il percorso scolastico, possono anche demoralizzare. Per questo a metà aprile è partito a Casa Conte Forni un corso di alfabetizzazione di base che oggi coinvolge anche i ragazzi minorenni non accompagnati residenti nella struttura. «Ha funzionato, i risultati si sono visti» ha detto Daniela De Blasio, referente di Casa Conte Forni.
Paola ha sperimentato la sua metodologia modificandola durante le lezioni in base alle ricezioni e alle difficoltà degli studenti. Difficoltà che non rientrano solo nella scrittura, ma anche per esempio nella ricezione dei suoni: chi nella propria lingua non pronuncia suoni come la E oppure la O, avrà sicuramente maggiori difficoltà a recepire queste vocali nell’italiano.
Nel sussidio sono contenuti testi di accompagnamento per gli insegnanti e per chi studia, oltre a fumetti, immagini, attività ludiche e indicazioni. Saltano all’occhio diversi segnali stradali come le I degli info point e le T sulle insegne dei tabacchini. «Mettendomi nei panni di una persona che non conosce nulla della nuova città nella quale è capitata, mi sono guardata intorno e ho cominciato a segnare tutto quello che vedevo» spiega «Tutti hanno il diritto di conoscere ciò che per noi è banale. Ogni mamma analfabeta ha diritto di sapere che esiste un cartone animato chiamato Masha e Orso!».
Chi nella propria lingua non pronuncia suoni come la E oppure la O, avrà sicuramente maggiori difficoltà a recepire queste vocali nell’italiano.
Se ci soffermiamo a pensare alle nostre esperienze scolastiche, non possiamo non riconoscere che molti anni della nostra vita e del nostro sviluppo li abbiamo trascorsi a scuola. Scuola che è (o dovrebbe essere) piacere di stare insieme, di confrontarsi, di scoprire le nostre abilità e passioni. «Anche persone di trent’anni hanno disegnato e colorato durante le lezioni. Lo hanno fatto con piacere, concentrazione e soddisfazione. Forse proprio perché per trent’anni non l’avevano fatto». Paola mostra un foglio con dei cerchi e dei triangoli: «Quando vedo queste semplici figure diventare bandiere e insiemi di colori… penso che queste siano esperienze artistiche. Non posso negarle se ho una vera passione per l’insegnamento».
«Anche persone di trent’anni hanno disegnato e colorato durante le lezioni. Lo hanno fatto con piacere, concentrazione e soddisfazione. Forse proprio perché per trent’anni non l’avevano fatto»
Un lavoro che non mira solo all’insegnamento concreto della lingua, ma all’inclusione all’interno della nuova società. Viene proprio in mente una nota storica, quando a emigrare non erano gli altri ma siamo stati noi italiani.
Dalla fine dell’Ottocento a metà Novecento sette milioni sono gli italiani che si sono trasferiti all’estero: erano soprattutto maschi delle classi più giovani, ovvero le persone con percentuali di analfabetismo minore. L’emigrazione tuttavia non rallentò la diffusione della lingua italiana, che era ancora indefinita; anzi fu quando gli emigrati scoprirono all’estero l’importanza del “saper lettera” che in Italia si cominciò a combattere l’analfabetismo. Insomma, cambiato quello che deve cambiare, una storia che si ripete e che abbiamo vissuto anche noi. E che può essere una forte opportunità.
Fu quando gli emigrati scoprirono all’estero l’importanza del “saper lettera” che in Italia si cominciò a combattere l’analfabetismo
Per approfondire: Storia linguistica dell’Italia unita, Tullio De Mauro