Quest’anno l’inverno particolarmente freddo ha portato disagi in Italia e alle persone che le temperature rigide non possono sopportarle. Se tuttavia la maggior parte di noi si tiene coperta sotto cappotti e, la sera, trova pace sotto il tepore delle proprie coperte, ci sono tante persone, anche a Bolzano, che d’inverno rischiano di passare la notte sulla strada: e, quando le temperature scendono sotto lo zero, spesso non è sufficiente una coperta per sopravvivere.
La vita di strada è il cuore pulsante dell’associazione Volontarius, che è nata proprio con l’unità di strada. Ne parliamo quindi con Davide Monti, responsabile dell’Area di Strada per l’associazione.
Chi sono le persone che vivono sulla strada?
Le persone che incontriamo oggi sulla strada afferiscono a diversi fenomeni. Quello delle persone senza dimora, senza tetto, delle persone migranti che attraversano o si stabiliscono sul territorio, quello di persone che in qualche modo vivono la strada e una condizione di grave emarginazione per motivi come l’instabilità psichica, fragilità economica, o più di rado per ritrovare sulla strada delle relazioni che ormai all’interno della nostra comunità è sempre più difficile coltivare. Le persone che vivono sulla strada cercano relazione ma anche la soddisfazione di alcuni bisogni primari: la garanzia di un tetto, una coperta, una consulenza, una risposta, un orientamento verso i servizi a cui non tutti riescono ad accedere in maniera semplice, per una questione culturale o per la complessità che il sistema dei servizi di oggi ha raggiunto.
In che modo si soddisfano questi bisogni?
Dal 1998 le unità di strada si muovono sul territorio cercando di raccogliere i bisogni delle persone in condizione di grave emarginazione, ma anche quelli della comunità: per questo gestiamo un numero di reperibilità attraverso il quale vengono raccolte segnalazioni rispetto a situazioni particolari. Alle persone in stato di bisogno offriamo assistenza, ascolto e accompagnamento. Ciò vuol dire che cerchiamo di entrare in relazione con le persone per conoscere le necessità contingenti, soddisfatte le quali ci si può muovere verso una dimensione più strutturata e quindi accompagnare le persone vulnerabili ai servizi, costruendo un ponte tra quelle che sono le risorse che in massima parte l’ente pubblico mette a disposizione e quelli che possono essere i bisogni.
Fino a poco tempo fa il camper che offriva del cibo la sera parcheggiava al parco di fronte alla stazione. Dove operate oggi?
L’ente pubblico ha messo a disposizione in piazza Verdi presso l’ex distributore Agip un locale che sta svolgendo una funzione di luogo dove poter distribuire e consumare cibo tutte le sere della settimana, quando vengono distribuiti panini e piatto di minestra caldo a chi ha bisogno, ma anche consulenza rispetto a quelli che sono per esempio i posti per il Centro Emergenza Freddo e soprattutto ascolto. È un luogo che permette agli operatori e ai volontari di svolgere anche attività di consulenza e orientamento in un modo sempre più strutturato, in un posto più accogliente, illuminato e riscaldato. Questo per individuare risposte specializzate a bisogni specifici.
Cerchiamo di entrare in relazione con le persone per conoscere le necessità contingenti, soddisfatte le quali ci si può muovere verso una dimensione più strutturata e quindi accompagnare le persone vulnerabili ai servizi, costruendo un ponte tra quelle che sono le risorse che in massima parte l’ente pubblico mette a disposizione e quelli che possono essere i bisogni.
Cos’è il Centro Emergenza Freddo?
Dal 30 dicembre 1999 l’associazione gestisce uno o più centri di Emergenza Freddo. Una risposta umanitaria rispetto ai rischi che persone particolarmente vulnerabili presenti sul nostro territorio possono soffrire rispetto al calo drastico delle temperature. I numeri sono cambiati: nel 1999 la prima sera c’ero io e abbiamo accolto una ventina di persone, per arrivare poi a fine inverno fino a circa una quarantina. Oggi noi ospitiamo 125 persone, a prescindere dal possesso o meno dei documenti, presso i locali dell’Alimarket e del Palasport di via Resia. Il Centro Emergenza Freddo apre alla 20 di sera fino alle 8 di mattina, quando le persone, dopo una colazione, devono purtroppo uscire.
Sono cambiate le persone che avete incontrato, assistito e ascoltato in questi anni?
Sì. Inizialmente si trattava di persone italiane, persone senza dimora completamente prive di ogni riferimento. Poi la situazione è cambiata: la città di Bolzano si è dotata negli anni di strutture capaci di far fronte alle esigenze delle persone autoctone. Oggi il fenomeno vede la presenza transitoria di diverse persone che si muovono per spostarsi verso i paesi del nord Europa, sia per scendere verso le grosse città italiane, dove le comunità di migranti trovano maggiore supporto.
Nel 1999 la prima sera abbiamo accolto una ventina di persone, per arrivare poi a fine inverno fino a circa una quarantina. Oggi ospitiamo 125 persone.
Attualmente al Centro Emergenza Freddo sono ospitate soprattutto persone extracomunitarie giovani, con una media sui 30 anni. Provengono per la maggior parte da Asia e Africa e non tutti afferiscono al sistema dei richiedenti asilo. Ci sono persone che, ottenuta la protezione internazionale, cercano di spostarsi o alla ricerca di un familiare o di una soluzione abitativa e lavorativa stabile. La maggior parte delle persone sta cercando un futuro qui rispetto a paesi che da tempo non garantiscono la situazione di normale benessere.
Cosa leggi nei volti delle persone che incontrate?
Sono persone sempre più stanche, sempre più prive di speranza e prospettiva, anche perché molti hanno perso la possibilità di rimanere sul nostro territorio con dei documenti regolari. Difficilmente in questa fase contingente della nostra storia possono avere reali possibilità di essere reinserite. Il meccanismo è sempre più esclusivo.
Sono persone sempre più stanche, sempre più prive di speranza e prospettiva, anche perché molti hanno perso la possibilità di rimanere sul nostro territorio.
Cosa significa lavorare in questo settore dal punto di vista umano?
Comporta la necessità di lasciarsi coinvolgere senza farsi sconvolgere. Non è semplice trovare la giusta mediazione tra le esigenze della persona, che quasi sempre è in condizioni di vulnerabilità, altrimenti nessuno per scelta vivrebbe sulla strada in condizioni al limite della dignità; allo stesso tempo occorre preservare la necessità di rispettare la normativa vigente.
L’umanità a cui noi andiamo incontro è incredibilmente complessa e richiede il costante equilibrio tra quello che è il mandato di andare incontro alle persone nel miglior modo possibile, garantendo professionalità ed equilibrio rispetto a quella che è la normativa vigente. Solo a titolo di esempio la legge sull’immigrazione e la legge sul terrorismo, che da un lato ci permette di ospitare in virtù di un provvedimento che il sindaco emana ogni inizio inverno e ci consente di ospitare persone irregolarmente presenti sul territorio, ma che allo stesso tempo fa sì che ci dobbiamo preoccupare e fare garanti dell’accertamento delle identità di queste persone da parte delle forze dell’ordine.
Noi non possiamo prescindere da questi meccanismi. Terzo interlocutore è la comunità che deve e può farsi carico del bisogno di chi in questo momento sta facendo fatica, ma anche qui in un equilibrio tra risorse e capacità di assorbire questo disagio.
L’umanità a cui noi andiamo incontro è incredibilmente complessa e richiede il costante equilibrio tra quello che è il mandato di andare incontro alle persone, garantendo professionalità ed equilibrio rispetto a quella che è la normativa vigente.
Legandoci alle parole di Davide, invitiamo il cittadino di qualunque fascia d’età, a leggere tra le righe di questo fenomeno, definito spesso “popolo degli invisibili”. Noi cittadini abbiamo il diritto di informarci, ma attraverso canali adeguati con protagonisti di questa conoscenza chi ci lavora ogni giorno. Oggi è facile, attraverso le reti sociali, cascare in giudizi facili e falsi luoghi comuni: la rabbia delle persone è immediata, ma noi chiediamo riflessione e consapevolezza, che non possono prescindere da impegno, studio e attenzione. Rivolgendoci invece ai cittadini imprenditori invitiamo a ricordare la responsabilità sociale delle imprese: in periodi di fatica, l’invito che esibiamo come associazione è quello di offrire qualche posto di lavoro anche ai meno fortunati, così che il contratto di lavoro venga visto anche come occasione per creare inclusione sociale. Chiamateci.