Tutto nasce dal simbolo dell’albero, un’immagine universale legata alla vita e alle radici. “Segni e parole” è stato un laboratorio che ha coinvolto un gruppo di persone richiedenti protezione internazionale del Pakistan al centro accoglienza Casa ex Lemayr ed è stato organizzato dagli educatori Thierno e Cosetta. «L’obiettivo è stato quello di lasciar emergere la propria interiorità attraverso immagini e ricordi per condividerla poi attraverso la scultura, gli intarsi e l’incisione su legno» spiega Cosetta.
Shahab è a Bolzano da 9 mesi ma conosce già piuttosto bene l’italiano, che ha imparato aiutando nella Casa e facendo un corso di italiano di quattro mesi: «Per me l’albero è molto importante» mi dice e mi mostra un quadro con un’altalena appesa a un albero: «Mi ricorda quando ero bambino». Anche Mohsin, un ragazzo di 26 anni, racconta che quando era piccolo giocava con la sorella e con gli amici su un’altalena fissata a un albero. Mohsin colpisce per la sua sincera espansività che lo rende un ragazzo molto profondo: «Non parlo bene l’italiano e non so dire quello che provo» spiega in inglese «Per questo l’ho disegnato». Il suo quadro rappresenta un albero senza foglie con dei fiori ai lati e degli uccelli che volano verso l’orizzonte. «Sono molto lontano da casa e per questo l’albero ha perso le foglie. Questo è il mio passato». Un albero senza vita, penso, ma con la voglia di conoscere e ricominciare: «Vorrei mescolarmi, non solo con operatori e con chi abita qui. Io vorrei conoscere qualcuno fuori: fuori c’è il mondo».
«Non parlo bene l’italiano e non so dire quello che provo» spiega in inglese «Per questo l’ho disegnato».
Abdul e Ahmadzai raccontano di amare gli alberi perché in Pakistan ce ne sono molti e, quando li vedono, pensano con nostalgia a casa. Mi raccontano una loro giornata tipo: «Ci svegliamo alle 9, ci laviamo e mangiamo qualcosa, andiamo a scuola o in biblioteca o sul Talvera. Mangiamo verso le 11.30. In biblioteca studiamo italiano, ma per impararlo sarebbe meglio parlare con gli altri. Non è bello imparare la lingua da soli». Se per Abdul e Ahmadzai gli alberi rappresentano la nostalgia, per Quasim invece rappresentano la speranza di trovare, anche a Bolzano, la propria casa; mi racconta che da bambino ha molto spesso lavorato con il legno e per questo racconta di essere felice, oggi, di alzare lo sguardo tra case grigie e vedere ancora il verde degli alberi. Lo fanno sentire a casa, ma non la casa in Pakistan: la casa nella natura, la vera casa dell’uomo.
Se per Abdul e Ahmadzai gli alberi rappresentano la nostalgia, per Quasim invece rappresentano la speranza di trovare, anche a Bolzano, la propria casa.
«Abbiamo tanto tempo per fare, imparare, crescere: sfruttiamolo» mi dice Thierno che, insieme a Cosetta, ha organizzato questo laboratorio. Tra i quadri che anche lui ha creato, me ne mostra uno con il camper di Oltre la Strada di Volontarius. «Un albero non cresce se non ha la base» mi spiega «Il camper è una base: ogni sera vai e nonostante la tua vita… quando durante il giorno non vedi nessuno, sai che la sera incontrerai gente. Senza camper cosa fai?». Anche Thierno, che ora è operatore nella struttura, ha passato del tempo sulla strada. «Ci sono ragazzi che non ce la fanno» dice «So bene come ci si sente».