In merito alla polemica, ultimamente di moda, sulla responsabilità delle Organizzazioni Non Governative (ONG) italiane di contribuire al traffico di esseri umani verso l’Italia, sui social la discussione si è divisa tra chi le accusa tutte e chi le difende a spada tratta. Per le persone che rinchiudono la complessità di questo fenomeno nei rigidi schemi di “bene” e “male”, “giusto” e “sbagliato”, qualunque tipo di nostro intervento sarebbe probabilmente inutile.
Eppure, mettendo da parte la tastiera e fermandoci a riflettere, ci appare chiaro che, quando l’essere umano agisce per gli altri, è giusto che ci sia un controllo da parte delle autorità competenti e, qualora necessario, che si svolgano delle indagini e si prendano provvedimenti seri. Altrettanto chiaramente non è giusto strumentalizzare il (pre)giudizio e infangare tutte quelle persone che, per professione o volontarietà, mettono in gioco ogni giorno se stesse nel salvare vite umane.
Le etichette funzionano nei negozi, ma nella vita possono dare problemi – o profondi malintesi. La guerra delle polemiche su Facebook e Twitter non si addice al mondo complesso che stiamo vivendo. E non è nemmeno molto “social”.