La saletta al binario 1A è ormai deserta: non ci sono più le panche, gli armadi, gli aquiloni appesi alle pareti, la scrivania, il divano e l’angolo per bambini. Eppure l’energia lasciata dalle migliaia di persone che sono entrate e hanno vissuto questa saletta, è ancora presente in tutta la sua forza. «Vederla vuota mi fa ripensare a tutto quello che abbiamo passato in questi due anni. Non mi sembra vero con tutte le vite che sono passate» dice Lorenzo.
Lorenzo ha 26 anni e non pensava che nella vita avrebbe lavorato nel sociale. Studi tecnici e un tentativo all’università con scienze dell’educazione, ma a fare la differenza è stata l’esperienza con le persone: prima a Sant’Elia nel 2009 in soccorso alle persone colpite dal terremoto in Abruzzo, al fianco della Croce Rossa Italiana, poi presso la stazione di Bolzano al fianco di Volontarius. «Il coinvolgimento in Abruzzo non era molto diverso da quello che si vive qui in stazione» racconta «In entrambi i casi ho sentito l’esigenza di essere presente. Qui in stazione, soprattutto durante i primi mesi, quando arrivavano centinaia di persone, stavi un’intera giornata senza accorgertene».
«Ho sentito l’esigenza di essere presente. Qui in stazione, soprattutto durante i primi mesi, quando arrivavano centinaia di persone, stavi un’intera giornata senza accorgertene».
Migliaia di persone che hanno vissuto a Bolzano la speranza di proseguire il proprio viaggio ma che spesso, scontrandosi con la scoperta delle frontiere, hanno visto quel sogno tramutarsi in incertezza e disperazione. «In Abruzzo ogni scossa di assestamento faceva tornare in mente tutto ciò che le persone avevano perso. Qui la scoperta delle frontiere è una scossa che rievoca tutte le difficoltà vissute per arrivare fin qui. Per questo spesso le persone si uniscono in gruppi per cercare alternative, per farsi coraggio e proseguire il viaggio anche a piedi». Per l’Unhcr sono 65 milioni le persone che fuggono nel mondo e in gran parte sono giovani e addirittura bambini. Persone “in transito” tra frontiere, paesi e continenti diversi, passando per le stazioni o affrontando le montagne.
Due ragazzi somali sono stati recentemente soccorsi a 2.600 metri di quota sul passo del Tauri in Valle Aurina, via di fuga scoperta da Marko Feingold, uomo ebreo austriaco sopravvissuto al nazismo, e usata da 5.000 persone ebree nel dopoguerra per raggiungere l’Italia e imbarcarsi verso la Palestina. Me lo racconta Arianna, 28 anni, referente con Volontarius del servizio di assistenza umanitaria fino allo scorso giugno: «Il servizio provvede alle esigenze di base: offriamo qualcosa da mangiare, vestiti, materiale igienico, una doccia calda per chi ne fa richiesta» spiega «Ma cerchiamo soprattutto di esserci. Dare un panino, una coperta o un sorriso può suonare banale, ma in realtà è una grande cosa per le persone che incontriamo, che sono diffidenti e bisognose di attenzioni o di qualcuno che ricordi loro che esistono».
Un lavoro delicato perché ha la missione di accompagnare le persone nella legalità e nel costante rispetto delle loro esigenze individuali. «Questo è forse l’aspetto più delicato e importante» dice Arianna «Non tutte le persone che incontriamo hanno gli stessi bisogni, lo stesso passato e lo stesso bagaglio culturale. Allora cerchiamo di esserci per quelle che sono le loro necessità e non le nostre. Corriamo sempre il rischio di cadere nell’errore di pensare che la cosa migliore per la persona che abbiamo di fronte è quella che abbiamo in mente noi, ma non è così».
«Non tutte le persone che incontriamo hanno gli stessi bisogni, lo stesso passato e lo stesso bagaglio culturale. Allora cerchiamo di esserci per quelle che sono le loro necessità e non le nostre»
Un servizio ancora più delicato per le persone vulnerabili che arrivano e che richiedono la costante collaborazione degli uffici istituzionali e di altre realtà come Caritas e volontariato: donne sole o con bambini piccoli, persone vittime di tortura, minori non accompagnati con il diritto a essere tutelati. Spiega Lorenzo: «Facciamo un costante lavoro di mediazione con tutti coloro che sono coinvolti in queste procedure e che per mandato devono partecipare all’accoglienza. Dobbiamo fare capire, e spesso non è facile, che a ogni singola necessità bisogna rispondere. Dove l’accoglienza non riesce ad arrivare, ci sono tantissimi volontari pronti a dare una mano». Lorenzo si occupa infatti di accompagnare i volontari di Volontarius nei loro percorsi all’interno del servizio «Lavorare con i volontari non è sempre facile perché spesso reagiscono d’impulso, ma è un privilegio perché sono persone che dedicano il proprio tempo col cuore in mano. L’operatore, se ha l’accortezza e la sensibilità di osservare e imparare, cresce insieme al volontario; e viceversa».
Appese alla parete, ci sono le testimonianze di diversi bambini passati: disegni che raffigurano barche, persone che distendono il braccio per raggiungere quello di qualcuno in mare. Ci sono anche scene di violenza, ma queste sono chiuse in un armadio sotto chiave. L’obiettivo è quello di creare un clima il più accogliente possibile; le persone quando si fidano lasciano giocare i bambini, oppure giocano insieme a loro, mentre l’equipe cerca di capire le soluzioni possibili alla loro situazione. «Ogni situazione è unica e complessa. Per questo è importante collaborare con chi lavora in questo settore» afferma Arianna.
Il gruppo di lavoro, che segue formazioni e supervisioni psicologiche specifiche per il servizio, è molto giovane. Lorenzo mi spiega di essere cresciuto insieme agli altri, costruendo così un ambiente lavorativo aperto: «Mentre magari un adulto avrebbe tentato un approccio più schematico per adattare la situazione a quella che era la sua esperienza passata, noi abbiamo creato la nostra esperienza da questa situazione».
La domanda mi viene spontanea: «Cosa lasci nella saletta al binario 1A che adesso ha chiuso?» e lui sorride con un respiro: «È un impatto emotivo forte. Qui abbiamo vissuto tantissimo tempo, ci abbiamo condiviso alcune festività, i nostri compleanni. Ci lasciamo sudore e fatica. Adesso mi sembra un nuovo inizio, una nuova partenza. Voglio far tesoro di quello che ho imparato e portarlo nella nuova sala. L’ambiente può essere grande ma alla fine a far la differenza sono sempre le persone». L’equipe si è infatti spostata a in via Renon presso il Palazzo 5, dove sta allestendo un’ampia sala con l’obiettivo di garantire gli spazi necessari per assistere adeguatamente le persone e gestire le sempre più necessarie sinergie con altre figure fondamentali del territorio, come le unità di strada.
La domanda mi viene spontanea: «Cosa lasci nella saletta al binario 1A che adesso ha chiuso?»
Lorenzo è ottimista quando gli chiedo cosa significa lavorare con le persone richiedenti protezione che non manifestano l’intenzione di fermarsi a Bolzano: «Oggi rivaluto i problemi quotidiani. Non mi è più capitato di farmi abbattere e schiacciare dai problemi che possiamo avere nella nostra vita. Quando torni a casa e ti accorgi che è finito il latte… non ci dai pensiero; oppure litigare con qualcuno diventa un motivo per fare pace». Arianna invece mi parla del senso di impotenza col quale spesso capita di confrontarsi: «Noi siamo un servizio di assistenza per le persone in transito che scendono dai treni, poi non possiamo sapere cosa faranno le persone una volta lasciata la città. Capita che le persone ci guardino con gli occhi spalancati e ci dicano di aiutarle a passare, e tu sei lì e rispondi ma dentro sai di non sapere cosa dire». Una frustrazione che stanca e che mette alla prova le nostre percezioni di “giusto” e “sbagliato”: «Tu sai che è profondamente ingiusto quello che la persona sta vivendo e sai di essere tu la persona che gli dice di no» dice Arianna «Questo è l’aspetto più brutto perché tu sai anche, ma non lo dici, che dovunque andranno sarà difficile, che i loro problemi non si risolveranno facilmente».
«Oggi rivaluto i problemi quotidiani. Non mi è più capitato di farmi abbattere e schiacciare dai problemi che possiamo avere nella nostra vita»
Un servizio molto complesso, delicato, ma anche molto conosciuto e frequentato. «A volte hai la percezione di essere sotto gli occhi di tutti» rivela Lorenzo «ed è capitato che persone che neanche conosciamo uscissero in radio o su un giornale parlando di quanto si fa o non si fa per l’assistenza delle persone in transito. Vorrei ci fosse un po’ più di consapevolezza e comprensione: è un tema troppo delicato per parlarne con una chiacchierata». Arianna ricorda Abeil, ragazzo eritreo di 17 anni che, tentando di saltare su un treno merci diretto al nord, il 21 novembre 2016 ha perso la vita. «Non era qui da solo, ma con un gruppo di ragazzi che poi sono tornati a Milano, arrabbiati per aver visto le loro fotografie pubblicate a tradimento sui giornali».
«A volte hai la percezione di essere sotto gli occhi di tutti ed è capitato che persone che neanche conosciamo uscissero in radio o su un giornale parlando di quanto si fa o non si fa per l’assistenza delle persone in transito»
Sono tante le persone che, come Abeil, stanno cercando di raggiungere un mondo migliore ed è straziante pensare che, a causa di un’Europa che al posto dei ponti ha finito per costruire dei muri, il suo viaggio possa essersi fermato a Bolzano. Casa Abeil, forse, potrebbe essere quindi il nome più adatto, bello e giusto per questo importante e complesso servizio. Almeno per oggi lo chiameremo così.