Secondo i dati ufficiali del Ministero degli Interni (al link) sono 95.215 le persone che, dal 1 gennaio al 2 agosto 2017, sono sbarcate sulle coste italiane. L’anno scorso, in questo stesso periodo, erano 97.892. Quello di oggi è quindi un numero per ora minore, anche se nel 2016 è stato ottobre il mese che ha riportato più sbarchi. Ricordiamo che nel 2016 sono sbarcate in tutto 181.436 persone, di cui il numero record di 25.846 ragazzi minori – oggi al momento sono 9.761.
I numeri sono solamente una delle prospettive di lettura possibili di questo fenomeno, che riguarda 65 milioni di persone portatrici di vissuti e sensibilità diverse. Tuttavia una loro lettura può diventare un’occasione per maturare una consapevolezza che vada oltre le crescenti perplessità e gli allarmismi che sembrano diffondersi nella nostra comunità.
La paura del diverso, nel momento in cui viene vissuta, è una paura giustificata che va compresa e guardata in faccia. Non possiamo nasconderla, non possiamo urlarle contro con istinto polemico (dal greco polemikos, appartenente alla guerra) – semmai critico (kritikos, esperto nel giudicare) con l’obiettivo di dialogarci e capire dove ha le sue radici.
Nessuno vuole e può negare che, a livello di sistema, ci sono problemi. Quello che vogliamo e dobbiamo evitare è che le difficoltà del nostro sistema di accoglienza si consumino sulla pelle delle persone diventando populismo e demagogia, figli di una cultura che in questo momento storico sembra lasciar prevalere l’odio e la divisione su tutto il resto. Odiare e dividere è più facile che comprendere e unire.
Non è vero che la nostra identità è in pericolo. Non è vero che siamo invasi. Lo dicono i numeri: all’Alto Adige, ricordiamo, spetta solamente l’1% delle persone che sbarcano in Italia. Non lanciamo sterili polemiche per riempire di odio e veleno chi abbiamo intorno. Proviamo piuttosto a uscire dai nostri cancelli per confrontarci direttamente con la realtà di cui facciamo parte. Facciamolo concretamente, senza nasconderci dietro i post sui social: uno sguardo, una parola, il nostro sentire che incontra il sentire di qualcun altro è ciò che, alla fine, può fare davvero la differenza.