C’è qualcosa che ci rende profondamente disuguali ma allo stesso tempo simili nel nostro modo di vivere il tempo.
L’ho capito qualche giorno fa incontrando sulla strada Fabrizio (nome di fantasia, ndr), giovane ragazzo senza tetto di appena 27 anni. «Non voglio diventare come quella gente che vive sulla strada da anni, si beve la vita e pensa se è il caso di ammazzarsi o meno» mi ha detto. Fabrizio sta cercando di uscire, prima che sia troppo tardi, dalla situazione critica nella quale si ritrova da quando ha rotto con la famiglia. Ora che fa parte di quello che viene chiamato il “popolo degli invisibili”, passa le notti facendosi ospitare da conoscenti o sui rimorchi dei treni in stazione, concentrandosi sul presente: una quotidianità scandita dagli stati d’animo, dalla ricerca, da un tempo che spesso sembra togliere il respiro.
«Buon compleanno!» mi diranno invece oggi familiari, amici e persino lo smartphone. Ci si metterebbe anche Facebook, se non avessi nascosto la data di nascita per evitare gli auguri di gente quasi sconosciuta. A capire che i messaggi di auguri sono una grande ipocrisia del nostro vivere il tempo bastano i commenti di circostanza quali «Come ci si sente a 22 anni?» e gli intramontabili «Vedrai quando avrai la mia età!». Anche internet non aiuta con i suoi articoli sulle “10 cose da fare” prima degli -enta e degli -anta.
Una quotidianità scandita dagli stati d’animo, dalla ricerca, da un tempo che spesso sembra togliere il respiro.
Più passano gli anni e più il tempo sembra portare con sé ansia e frustrazione; diventa un paradigma di pensiero, un termine di paragone silenzioso e un biglietto da visita. A vent’anni sei forte se ti dimostri valido e, quando conosci un adulto, pensi agli anni che hai a disposizione per migliorare; invece se conosci qualcuno di più giovane e valido pensi «Diamine, ma cos’ho fatto nella mia vita fino a oggi?».
Sulla strada, come Fabrizio, ho trovato diverse persone di altri paesi che vivono il tempo in maniera ancora diversa. Boubacar (nome di fantasia, ndr) per esempio, un giovane ragazzo richiedente asilo dal Senegal, vive le attese per i colloqui, i documenti, la ricerca di amicizie e i lavori. Un tempo di sfide che nasce come quello di una nuova vita ma, in realtà, diventa quello necessario a capire se può iniziare una nuova vita dati i tempi lenti dell’accoglienza italiana.
Un tempo di sfide che nasce come quello di una nuova vita ma, in realtà, diventa quello necessario a capire se può iniziare una nuova vita
Parlando con Fabrizio e Boubacar ho capito che vivere il nostro tempo è una consapevolezza che parla di noi e ha bisogno, più che di festeggiare, di elaborare e ascoltare. Oggi non ho tempo per pensare ai miei 22 anni e, quando l’avrò fatto, ne avrò ormai 23. Peccato, perché se mi fermassi per un attimo a pensare, o mi trovassi nelle condizioni di doverlo fare, avrei molto su cui riflettere. Significa che gli 8055 giorni trascorsi fino a oggi li ho vissuti per niente? No e anzi, come augurio di compleanno voglio ricordare, a me stesso e a chi come Fabrizio e Boubacar vive il passare del tempo in maniera controversa, che forse alla fine il tempo non passa mai per niente: sono le esperienze a lasciare il segno e ogni esperienza, se vissuta davvero, dona – o toglie – respiro.