In merito al collocamento dei blocchi di cemento contro i bivacchi sull’arginale, che ha visto nascere un’accesa discussione durante il mese di agosto, diciotto anni di esperienza di Volontarius sulla strada ci dicono che sotto i ponti ci si può ammalare e si può morire. È già successo. Dal punto di vista della sicurezza e della tutela delle persone senza tetto e senza dimora che vivono a Bolzano, ha quindi senso salvaguardarle prevenendo che si possano nascondere in anfratti pericolosi e insalubri.
Il tema è che chiudere il ponte per spostare la gente ai giardini piuttosto che in altri punti della città è già stato fatto e le conseguenze sono state persone senza più una radice, senza più quel pezzo di terra che era diventato per loro una “casa”, che poi viene ricercata: le persone tornano lì, come fece più volte Elisabeth le volte in cui fu allontanata da ponte Talvera.
Sotto i ponti ci si può ammalare e si può morire. È già successo.
Il problema non è che la gente vive sotto i ponti, ma che mancano delle alternative concrete e questo compromette sicurezza, dignità e tutela delle persone. Spingere le persone a rendersi invisibili per recuperare un luogo sicuro dove passare la notte è pericoloso per le persone ma anche per una società che dovrebbe avere gli strumenti e la cultura dell’accoglienza.
Il numero di persone che si trovano a vivere sulla strada è in aumento, anche se spesso si tratta di persone di passaggio. Visto il fenomeno non emergenziale, serve allora sviluppare un’accoglienza diffusa e tutelare in particolare le persone che si trovano sul territorio in condizioni cagionevoli. Il fatto che oggi il Comune si muova verso l’aumento dei posti di accoglienza è encomiabile; ma non dimentichiamo che quelle che servono sono opportunità di inclusione, il cosiddetto “secondo livello”, che coinvolgano l’intero territorio e garantiscano progetti individuali per ogni singola persona, portatrice di una storia, di una sensibilità e di un bisogno.
Serve sviluppare un’accoglienza diffusa e tutelare in particolare le persone che si trovano sul territorio in condizioni cagionevoli
I centri si riempiono, quello che serve è sperimentare la possibilità di accogliere con logica progettuale. Per raggiungerla serve, uniti, metterci in gioco ricordando, con umiltà, che l’aspetto della propria città, la presenza più o meno forte di sacche di povertà e disagio e di persone abbandonate a loro stesse è indissolubilmente legata al nostro stile di vita.