Magdalena ha quasi quarant’anni e viene da Benin City, capitale dello stato di Edo (Nigeria), importantissima per tre industrie: quelle della gomma, quella dell’olio di palma e quella della prostituzione che, con il traffico di persone, coinvolge anche paesi come l’Italia.
Magdalena è una donna solare e allegra, quando ride sembra quasi prendere la vita con leggerezza, ma nelle parole che dice emerge la consapevolezza di un lungo percorso interiore che ancora non si è concluso. È in Italia da 14 anni e in Nigeria vivono i suoi figli, che vorrebbe fossero con lei. «Quando li chiamo piango. È stato brutto lasciarli a casa» racconta «Ho vissuto troppo stress, ho rischiato di morire giovane. I miei figli voglio vedano la mamma».
«La vita va avanti» ripete per tutto il tempo che trascorriamo insieme.
Magdalena è una donna solare e allegra, quando ride sembra quasi prendere la vita con leggerezza, ma nelle parole che dice emerge la consapevolezza di un lungo percorso interiore che ancora non si è concluso.
In Nigeria Magdalena aveva frequentano la scuola per sei anni e lavorato un po’ come parrucchiera, ma viveva forti difficoltà economiche e mi racconta di essere rimasta sola. Così, grazie al contatto di una sorellastra in Italia, è iniziato il viaggio che l’ha portata a Novara, dove è stata accolta dalla Caritas. «Ho studiato la lingua e imparato a cucinare. Dovevo fare qualcosa per occupare il tempo» spiega.
La vita di Magdalena sembrava fiorire di nuovo: «Qui in Italia mi sono fidanzata con un uomo della Nigeria. Eravamo innamorati e ci siamo trasferiti a Prato» racconta; aveva addirittura portato al mondo tre figli, finché però l’uomo non cominciò a bere e a trattarla come uno straccio. «Mi picchiava di fronte ai miei figli» mi dice con qualche difficoltà. «È durato tanti anni, poi un giorno ho chiamato la polizia». E a quel punto aggiunge «Oggi penso che ho sbagliato: non avrei dovuto resistere così a lungo».
Così Magdalena ha ripreso in mano la propria vita ed è tornata in Nigeria, dove ha lasciato i figli con la famiglia. Dopodiché, con rammarico, è tornata in Italia alla ricerca di un lavoro. «Ho lavorato come badante e poi in una fabbrica». Ma quando la fabbrica ha chiuso si è ritrovata sulla strada, ancora una volta sola.
«Mi picchiava di fronte ai miei figli. Oggi penso che ho sbagliato: non avrei dovuto resistere così a lungo».
Attraverso alcuni legami Magdalena è arrivata a Bolzano. «All’inizio chiedevo l’elemosina» racconta, «poi ho iniziato a lavorare sulla strada». Sulle strade di Bolzano ha conosciuto gli operatori dell’unità di contatto di Volontarius all’interno del progetto Alba: «Passavano ogni venerdì a portarmi qualcosa di caldo e a chiedermi se avevo bisogno di qualcosa».
Magdalena ha sempre rifiutato ogni aiuto, finché la sua vita non è improvvisamente crollata.
Nel dicembre 2014, portata fuori dalla città da un cliente, Magdalena venne picchiata e buttata fuori dalla macchina. «Mi ha picchiata per poi mollarmi lì» racconta «Avevo un braccio morto». Magdalena chiamò la polizia. Venne trovato il delinquente che la malmenò e tempo dopo venne arrestato. Dovette riconoscere il volto di fronte alla polizia. «L’ho riconosciuto».
Magdalena ha sempre rifiutato ogni aiuto, finché la sua vita non è improvvisamente crollata.
In quel momento Magdalena capì che non aveva nessuno intorno a sé e decise così di accettare l’aiuto offerto da Volontarius. «Ho vissuto in una casa dove mi sono trovata molto bene» racconta riferendosi alle strutture messe a disposizione dall’associazione La Strada – Der Weg di Bolzano all’interno della fase di accoglienza del progetto Alba «ho fatto tante cose» e intanto a Merano faceva fisioterapia per ricominciare a muovere il braccio.
Dopo un anno di permanenza Magdalena ha lasciato la struttura e oggi abita in un appartamento messo a disposizione da Volontarius. «Oggi lavoro come lavapiatti e mando i soldi a casa ogni mese. Voglio trovare un altro lavoro che mi occupi più ore».
Quando le chiedo della sua esperienza sulla strada, ho paura di essere indiscreto, ma Magdalena mi risponde senza problemi e mi parla di quello che definisce “lavoro dei demoni”. Mi racconta delle difficoltà di fronte a ogni persona, dei guanti che si ricordava sempre di mettere, del fatto che aveva presto imparato a chiedere i soldi prima di tutto. Mi dice anche che sospetta che la gente parli di lei quando la vede per strada, ma ha imparato a non ascoltare.
«Non è facile la vita di chi lavora per strada, neanche da raccontare. Io sono uscita da questa vita» spiega «e quando vedo ragazze che si prostituiscono penso “Dio, perché le lasci sulla strada?”. Sono costrette da qualcuno, o magari hanno figli».
Magdalena sospetta che la gente parli di lei quando la vede per strada, ma ha imparato a non ascoltare.
«Per cambiare serve volerlo. Io sono cambiata tanto. Avevo smesso di andare in Chiesa, invece oggi credo di più in Dio» rivela. Quando le chiedo cosa si aspetta dal futuro, Magdalena è positiva. «In futuro vedo una buona vita. Voglio pensare con la mia testa». Vorrebbe portare in Italia i suoi figli perché studino e trovino un bel lavoro, ma per farlo ci vuole ancora tempo: «Il passato è passato e i miei figli devono sapere cosa la mamma ha passato».
Mentre parliamo cerco di essere il più delicato possibile ma, mi rendo conto, non è necessario. Magdalena si apre con facilità e quando sei vicino al limite te lo fa capire attraverso uno sguardo, una risata oppure un semplice gesto. «Un marito violento può arrivare ad ammazzare la moglie» afferma «Un marito così è un uomo che non pensa, lo fa perché è stupido e non ha cervello. La donna deve essere forte, non deve dormire: deve dimostrare alla gente chi è».
«Un marito violento può arrivare ad ammazzare la moglie. Un marito così è un uomo che non pensa, lo fa perché è stupido e non ha cervello. La donna deve essere forte, non deve dormire: deve dimostrare alla gente chi è».
Dopo due ore di conversazione, mi rendo conto che non abbiamo pronunciato neanche una volta la parola “prostituta”. Magdalena definisce quell’esperienza “lavoro sulla strada”, un lavoro rischioso e orrendo. E in quella consapevolezza risiede la forte dignità di una donna che si è messa in gioco e, nonostante i momenti di crollo, ha saputo rialzarsi. “La vita va avanti”, ha ripetuto davvero diverse volte, tanto che sento questa frase intorno a me fino a capire che è proprio così, nonostante tutto: la vita va sempre avanti.