A metà settembre 2017 questi sono i dati relativi all’inclusione lavorativa delle persone nei centri di seconda accoglienza (sono stati esclusi quelli per famiglie) gestiti dal Gruppo Volontarius nel territorio altoatesino. Dati che rilevano che il 61% delle persone accolte è attualmente impiegata con un contratto di lavoro a tempo determinato, qualcuno anche indeterminato o attraverso stage e lavori di pubblica utilità.
Sono molte le persone che, senza un lavoro, cercano comunque di mettersi in gioco attraverso attività di volontariato, che quando portato avanti con costanza spesso può sviluppare le giuste competenze per entrare nel mondo del lavoro. «Il percorso ideale comincia con una formazione, passa attraverso uno stage e termina con un contratto di lavoro» spiega Annemarie Volgger, referente di Casa Valtnaun di Rifiano. È proprio quello che è successo a San Candido, dove grazie a delle riunioni con i datori di lavoro sono molti gli stage e i tirocini avviati.
Anche a Silandro, che ha aperto solo da pochi mesi, sono state le riunioni con i datori di lavoro a creare le prime opportunità di lavoro per le persone. «I datori di lavoro non sanno se si possono far lavorare le persone ospiti dei centri accoglienza e come, così abbiamo voluto fare chiarezza» spiega Manochehr Moqimi, referente di Casa ex Croce Bianca.
Volgger (Rifiano): «Il percorso ideale comincia con una formazione, passa attraverso uno stage e termina con un contratto di lavoro».
A Ortisei e Merano è stato il passaparola a favorire le assunzioni: «Il primo anno è stato molto difficile» spiega Roswitha Tedeschi, referente di Casa Sole a Ortisei «Non tanto per le difficoltà linguistiche, ma perché molti datori di lavoro erano scettici nei confronti delle persone». Quando le chiedo come è cambiata la situazione, mi risponde: «Chi se lo merita trova un lavoro. Conosco tantissimi ragazzi che si sono rimboccati le maniche. Oggi i datori di lavoro sono felici, hanno trovato delle persone valide».
Nel momento in cui iniziano a lavorare, le persone continuano a essere seguite dalle equipe delle strutture accoglienza. «Diversi ragazzi si sono arrangiati nella ricerca del lavoro» spiega Fabrizio Bissacco, referente di Casa ex Comitato Edile di Laives «noi chiaramente siamo sempre in contatto con loro e con i loro datori di lavoro, per accertarci che la collaborazione funzioni da parte di entrambe le parti».
Tedeschi (Ortisei): «Chi se lo merita trova un lavoro. Conosco tantissimi ragazzi che si sono rimboccati le maniche. Oggi i datori di lavoro sono felici, hanno trovato delle persone valide».
I settori di lavoro più disponibili, soprattutto nella stagione estiva, sono quelli dell’agricoltura, quello alberghiero e della ristorazione, ma anche il settore metalmeccanico, le lavanderie, i magazzini e le pulizie. Lavori manuali che spesso coincidono con quelle mansioni meno qualificate e dalla retribuzione più bassa per le quali non si trovano lavoratori locali disponibili. A Rifiano invece un giovane ospite lavora con la sua partita IVA come parrucchiere e a Ortisei alcuni ospiti sono impiegati nel settore dei servizi.
Fondamentale nella ricerca del lavoro è la presenza del volontariato, in particolare a Merano, a Rifiano e a Ortisei, dove è stato capace di prendersi cura in maniera profondamente umana di ogni singola persona e di accompagnarla nel suo percorso. Là dove il volontariato è minore, come a Casa ex Cavallino Bianco di Funes, che è purtroppo situata in una posizione scomoda da raggiungere per la presenza di pochi mezzi pubblici, a lavorare sono di conseguenza meno persone, nonostante l’equipe stia cercando delle opportunità occupazionali per tutti. «La difficoltà nasce quando cominci a leggere negli occhi delle persone la loro demotivazione» dice la referente della struttura Anna Neuwirth «Una volta lasciata la struttura per la fine del loro progetto, le persone si spostano verso Bolzano».
Gli impegni delle persone non si esauriscono tuttavia con l’orario di lavoro. «I ragazzi tornano a casa tardi la sera e spesso sono stanchi» spiega Fabrizio Bissacco «ma nonostante siano fuori tutto il giorno, a seconda dei loro turni, aiutano anche a casa nelle pulizie e nelle faccende domestiche».
Neuwirth (Funes): «La difficoltà nasce quando leggi demotivazione negli occhi delle persone».
Ma la vita delle persone non si esaurisce solo con il lavoro anche per un altro motivo, che si configura con la percezione del loro Futuro. È garantire un futuro trovare un lavoro stagionale? Certamente aiuta, ma il bisogno di lavoro è in realtà il bisogno di vivere una progettualità. «Servirebbero corsi professionali» spiega Annemarie «Se un ragazzo per tre mesi ha la possibilità di raccogliere mele, certo magari troverà anche l’anno prossimo, ma serve progettualità». Alcune scuole del territorio altoatesino, anche se poche, hanno iniziato a organizzare corsi professionali per le persone richiedenti protezione internazionale sul territorio. Si tratta di persone senza un titolo professionale o che un titolo ce l’hanno, ma in Italia non è valido.
È garantire un futuro trovare un lavoro stagionale? Certamente aiuta, ma il bisogno di lavoro è in realtà il bisogno di vivere una progettualità.
Occupare le persone con un lavoro tuttavia non è tutto, perché si tratta, per l’appunto, di persone, non di “lavoratori”: cosa succede quando la persona finisce il proprio progetto, ottiene il diritto d’asilo e deve lasciare la struttura? Questo è un tema molto importante e che rappresenta una grande sfida.
«C’è tantissima diffidenza verso “lo straniero”» mi spiegano diversi referenti senza mezzi termini «anche a disponibilità, la casa non viene data perché lo straniero è giudicato poco affidabile». Supporto a situazioni come questa sono di nuovo la comunità e il volontariato, che intervengono e cercano ogni opportunità possibile per le persone. Le strutture rimangono dei punti di riferimento: le persone una volta uscite dalla struttura tornano, chiedono informazioni; come a Merano, dove spesso tornano perché non sanno dove andare a dormire: «Pure chiamando le varie strutture disponibili sul territorio» mi spiega il referente di Casa ex Lavoratore Eduardo Ramirez «le liste d’attesa sono lunghe».
«C’è diffidenza verso “lo straniero”. Anche a disponibilità, la casa non viene data perché lo straniero è giudicato poco affidabile»
Quella che emerge è una situazione molto complessa in cui ogni centro di accoglienza sta reagendo cercando di trovare il maggior numero di opportunità per i propri ospiti. Ma nell’aria il rischio che qualcuno rimanga sulla strada è molto chiaro. A volte tornano ai centri di prima accoglienza di Bolzano per riallacciare i rapporti con le prime case che le hanno ospitate: «Le persone che tornano vengono a salutarci per affetto, più che per chiederci aiuto» spiega Andres Pablo, referente del centro di prima accoglienza Casa ex Lemayr «ma a Bolzano ci sono persone sulla strada nonostante abbiano l’asilo».
Pablo (ex Lemayr): A Bolzano ci sono persone sulla strada nonostante abbiano l’asilo.
Le attese per gli esami e per i ricorsi dalla commissione territoriale, che ha il dovere di valutare la richiesta di protezione internazionale di ogni singola persona, sono lunghissime: «Ci sono ragazzi che hanno fissato la loro prima udienza a marzo 2019» mi spiega Annemarie. Persone che lavorano, fanno tante esperienze, imparano bene la lingua, a volte anche il tedesco, ma che quando si addormentano la sera non sanno nemmeno se potranno rimanere a Bolzano o se dovranno andarsene. «La prima reazione è la disperazione» spiega Anne «poi la rabbia verso il sistema, poi la delusione. Che spesso si sfoga in un pianto».
Anche Roswitha, parlando di Ortisei, non nasconde qualche timore: «Il lavoro può favorire l’integrazione, ma l’inclusione è ancora più difficile. In Val Gardena la cultura tende a essere un po’ chiusa già per un italiano e, nonostante negli ultimi 20 anni sia arrivata manodopera un po’ da tutto il mondo, lo stesso ogni gruppo se ne sta sulle sue».
Insomma, una comunità che ha ancora tanto da lavorare per rinnovarsi ed essere unita. Ciò che rimane è che, pur nelle ben maggiori possibilità occupazionali che le persone richiedenti asilo trovano al di fuori della città di Bolzano, stare vicino alle persone svantaggiate non significa solo cercare di migliorare le statistiche dell’occupazione lavorativa o della formazione.
Bisogna insistere, attraverso una rete che unisca i vari attori competenti del territorio, nella formazione e nelle esperienze professionalizzanti.
“Inclusione”, che va ben oltre la semplice e in parte già avvenuta “integrazione”, significa stimolare soluzioni che possano nascere da una rete territoriale che, vedendole nascere, diventa più solida e solidale. Bisogna insistere, attraverso una rete che unisca i vari attori competenti del territorio, nella formazione e nelle esperienze professionalizzanti. Nelle strutture vivono elettricisti, idraulici che tuttavia, a causa della diffidenza da parte della cittadinanza, non sanno a chi rivolgersi, dove cercare aiuto. Ma la paura si lega alle masse e al pregiudizio, incontrare la singola persona mette in gioco e cambia la prospettiva.
Pingback: Tutti occupati a San Candido! – Volontarius ONLUS