Lo incontro, ci parliamo, ci guardiamo negli occhi. Fa fatica a parlare, la fatica di chi è da poco in Italia ma si sta sforzando con la lingua. Un uomo che però sembra restio a raccontarsi, a mostrarsi per quello che è.
Forse ha paura. Forse nasconde qualcosa. Forse non parla di tutto. Però il modo in cui racconta è vero, trasparente, le parole scorrono come se avessero voluto essere pronunciate da tanto tempo. Con un’inquietudine di fondo, però, si guarda in giro e non sempre i nostri occhi si incontrano. Non pensa che le cose possano cambiare. Parla, parla, parla. Ha voglia di parlare. Vuole parlare del presente, di come si sente ora.
Cosa dobbiamo prendere delle sue parole? perché dovremmo ascoltare la sua storia, se vuole restare nell’anonimato? Ogni storia nasce da una verità di fondo e quello che non vuole essere detto diventa più vero della storia stessa. In quest’ottica il nome di quest’uomo che vuole rimanere anonimo risulta quindi più vero di tutti gli altri. E la sua storia, le sue parole, il suo sguardo sfuggente sono l’alfabeto di un percorso tortuoso e anche ambiguo, ma che dobbiamo comprendere.
Sono un uomo.
Ho un nome, un cognome, un’età, ma ho deciso di non rivelarli. Sono cresciuto in un paese africano con tanti piccoli problemi ma non la guerra. Dopo quattro anni di scuola ho lavorato come agricoltore, poi come meccanico. La mia famiglia ha grandi terre e mi ha sostenuto nel lavoro. Mi ha aiutato anche quando ho provato ad aprire un’officina.
Poi sono dovuto partire. Nigeria, Algeria, Egitto, Marocco. Ma mi sono fermato solo in Libia a fare il muratore.
Nel 2011 sono arrivato in Italia perché è scoppiata la guerra in Libia. La guerra non è giusta e l’Europa ha sbagliato troppo. Molti problemi dell’Europa sono stati portati in Africa.
Ma l’Africa non è l’Europa.
Ho impiegato più di un mese per prendere una barca e due giorni ci sono voluti per arrivare a Lampedusa. Eravamo tantissimi, morti o vivi speravamo di arrivare. Stavamo male e avevamo sempre fame. C’era tanta gente e hanno avuto difficoltà a gestirci, ma li capisco. Ho addirittura trovato una donna che conoscevo. Avevamo fatto la scuola insieme. Non l’ho più rivista, chissà dov’è finita.. Così sono partito per Bolzano.
Era maggio, credo.
A Bolzano è andata male. Adesso noi abbiamo bisogno di lavoro ed è un grande problema. Bolzano non è bene per me, Bolzano non crede in me, anche se racconto la mia esperienza. Non mi sento accolto. Vorrei che la gente capisse che aiutare non è darmi un euro di carità ma darmi lavoro; non voglio l’elemosina, voglio un lavoro. È anche difficile trovare qualcuno per parlare, per strada, ne senti il bisogno ma t’ignorano.
È importante che parliamo con tranquillità, in questo momento. Non so perché tanta gente qui non saluta mai. Non è bello.
E cosa posso fare se non stare zitto e basta?
Io per ora continuo a cercare lavoro, anche se c’è la crisi. Perché non bisogna arrendersi alla crisi, l’abbiamo creata noi umani, non Dio. A Dio tutto questo non piace ma, non so perché, non risponde. Piano piano bisogna che troviamo noi una soluzione per, domani, vivere bene…
Spesso però è vero che penso che non finisce mai. Penso che non c’è soluzione. Purtroppo è più grande il mondo con i suoi problemi che la nostra storia.
Ed è più importante cambiare la sua storia prima della mia.