Pensieri al Volo

Volontarius Onlus, Bolzano

«È gioia. È condividere.»

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Rossella è una giovane donna molto sorridente ed è referente del centro di pronta accoglienza per minori non accompagnati Casa Rossa.

Chi è Rossella?

Una ragazza di 33 anni, nata ad Agrigento e che si mette sempre in discussione! Ha studiato scienze della formazione e dell’educazione e lavorato in un centro antiviolenza e in comunità che ospitano ragazzi minori non accompagnati.

Come inizia il tuo confronto con il tema della “diversità”?

Sarò sincera: quando ero piccola avevo paura dell’“uomo nero”, forse proprio a causa della filastrocca. Oggi mia mamma me lo ricorda sempre. Quando ho cominciato a lavorare in comunità le cose sono cambiate. Un giorno svelai questo piccolo segreto di cui mi vergognavo un po’ a un ragazzo ospite della struttura dove lavoravo e lui mi rispose: non ti preoccupare, è normale e in altre zone del mondo può capitare anche il contrario.

Cosa ti porti via da queste prime esperienze nel sociale?

Il bisogno di conoscere e di andare al di là dell’apparenza. Poi il coraggio: al centro antiviolenza ho conosciuto donne meravigliose, trovavano da sole la forza di denunciare e raccontare fatti tremendi solo da pensare. Un’esperienza importante l’ho vissuta come volontaria a Lampedusa durante la Primavera Araba.

Parlamene.

Lampedusa è stata uno schiaffo che mi ha svegliata dal tepore della mia vita. Sono rimasta felicemente colpita dalla solidarietà dei cittadini, che erano tutti coinvolti… c’era chi preparava da mangiare e andava a donare il cibo nelle strutture, o chi ospitava persone in casa propria, o chi con la propria barchetta per pescare andava a dare una mano in mare. Era qualcosa di magico. Mi ricorderò per sempre una donna che disse «Lo faccio perché sono una mamma»: anche Lampedusa è terra di migrazione e tanti giovani si sono spostati per cercare lavoro.

Come si comunica con una persona quando è appena arrivata?

Vedi arrivare ragazzi stanchi, malnutriti, scalzi ed è brutto, veramente brutto. La maggior parte delle persone non parlano neanche inglese oppure non riescono per le loro condizioni critiche. Allora si comunica con gesti e sguardi. Ogni singolo sorriso diventa determinante. È il linguaggio dell’amore, non saprei come definirlo altrimenti. Ed è bello quando i ragazzi, appena si sono un attimo ambientati, ti riconoscono e si affezionano a te, ti cercano, ti abbracciano per dirti grazie.

Lampedusa è stata uno schiaffo che mi ha svegliata dal tepore della mia vita.

Ricordi episodi particolarmente difficili?

Certo. In particolare ricordo la rabbia di un ragazzo quando scoprì di essere in Sicilia, mentre pensava di essere arrivato già nel nord Italia. Ricordo le difficoltà nello spiegare i tempi d’attesa, la pazienza che ci è voluta. E poi i momenti di lutto, come quello del 3 ottobre 2013. Un anno dopo ci furono le ricorrenze e alcune persone sopravvissute tornarono a Lampedusa e dormirono nelle case delle persone che le avevano salvate. Quegli abbracci, giuro, erano gli abbracci tra padri e figli che non si vedevano da mesi.

Cosa ti hanno insegnato queste ultime esperienze?

Ho imparato ad affrontare i problemi sempre col sorriso, nei limiti del possibile. Mi sono resa conto che l’Altro è una persona che ha con sé una sensibilità e tantissime risorse. Oggi mantengo rapporti costanti con tanti ragazzi che ho visto crescere ad Agrigento. È bello quando al compleanno ti fanno gli auguri. È bello quando sai che puoi contare su di loro. È bello quando ti chiamano e ti dicono «Ho trovato un lavoro» o «Mi sposo». È Gioia, è condividere, è un momento felice con qualcuno che ormai è diventato di famiglia.

Ed è bello quando i ragazzi, appena si sono un attimo ambientati, ti riconoscono e si affezionano a te, ti cercano, ti abbracciano per dirti grazie.

Oggi sei referente del Centro di Pronta Accoglienza per Minori Casa Rossa.

Sì. A Casa Rossa vivono ragazzi giovani che hanno vissuto esperienze che spesso gente molto più vecchia di loro non ha mai vissuto. Il nostro compito è quindi permettere loro di vivere con tutta la semplicità possibile l’adolescenza. Per questo non diciamo mai “comunità” o “struttura”, ma ci piace chiamarla “casa”.

Trovi che la comunità sia sensibile al tema?

Sì ma non è mai abbastanza. Prima mi arrabbiavo con chi sparava giudizi senza prima riflettere, adesso do semplicemente un consiglio: provare, almeno una volta, a incontrare le singole persone e parlare con chi lavora e vive ogni giorno con loro. Ad Agrigento le mie nonne quando hanno conosciuto i ragazzi delle comunità dove lavoravo e hanno rimosso ogni pregiudizio: non mi dicevano più a “ma cosa vengono a fare”, mi chiedevano “come stanno”.

Autore: Luca De Marchi

Classe '95, studia lettere all’università di Trento e collabora da diverso tempo con Volontarius nel raccontare la vita dell’associazione e quella delle persone che, ai margini della società, spesso vengono ignorate; ne porta inoltre testimonianza alla società attraverso i media e gli incontri con i ragazzi nelle scuole e in altri gruppi.

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