Nel corso del 2017 le strutture dell’emergenza freddo del Palasport (25 posti), ex-Alimarket (15) e via Macello (circa 100) sono state utilizzate da 484 persone diverse per complessivi 16.000 pernottamenti.
Solo 26 di queste persone si sono fermate nel capoluogo. Nel 2017 ha aperto i battenti anche un punto di riferimento dell’emergenza freddo rivolto alle donne. Si tratta di 6 posti letto realizzati presso il centro di accoglienza Conte Forni. Da questi dati si può desumere, contrariamente a quanto spesso viene affermato, che il capoluogo non esercita una particolare attrattività per le persone senza fissa dimora ed i profughi. Bolzano, infatti, è una piccola cittadina, dove i controlli delle forze dell’ordine funzionano, vi è la necessità di conoscere le due lingue, e non vi è un vero e proprio background di sostegno offerto dalle comunità nazionali di provenienza. “Molto migliori, da questo punto di vista le condizioni nelle grandi metropoli, dove l’individuo si può muovere in una sorta di clandestinità” afferma Davide Monti.
Il fatto che solo il 2% di coloro che utilizzano le strutture dell’emergenza freddo siano di nazionalità italiana (17 persone) è inoltre un indicatore significativo del fatto che la città, nel corso degli anni, è stata in grado di creare le condizioni per accogliere i senza fissa dimora locali. Per contro il fatto che il 93% degli utenti sia rappresentato da persone extracomunitarie evidenzia il fatto che abbiano scarso accesso ai servizi, spesso sono privi dei documenti necessari a chiarire la loro posizione giuridica, e ciò è indice, a nostro avviso, che non si sta facendo tutto il possibile per inserirli.
Il capoluogo non esercita una particolare attrattività per le persone senza fissa dimora ed i profughi.
Attualmente a Bolzano possiamo calcolare la presenza di circa 200 persone senza tetto. Di questi 140 trovano ospitalità nei mesi invernali presso le strutture dell’emergenza freddo, restano quindi all’addiaccio circa 60 persone. Restano fuori spesso per scelta, perché nei centri vi è indubbiamente una convivenza forzata, sono sottoposti a regole, non è un posto semplice, come alternativa dormono magari in macchina o hanno sistemazioni precarie presso amici. Nelle strutture dell’emergenza freddo vi sono persone di tutti i tipi, la sera c’è chi legge, chi studia, ma anche chi si ubriaca. Grazie agli operatori questi centri sono un “luogo di tutela” dove chi è rimasto tutto il giorno sulla strada può trovare un letto, una doccia e chiudere gli occhi consapevole che c’è chi si sta prendendo cura di loro.
Nelle strutture dell’emergenza freddo vi sono persone di tutti i tipi, la sera c’è chi legge, chi studia, ma anche chi si ubriaca. Grazie agli operatori questi centri sono un “luogo di tutela” dove chi è rimasto tutto il giorno sulla strada può trovare un letto, una doccia e chiudere gli occhi consapevole che c’è chi si sta prendendo cura di loro.
Chi non rispetta le regole viene messo fuori. L’obiettivo degli operatori è quello di costruire un servizio che restituisca la dignità a persone che attraversano una fase difficile della loro vita. Tra gli utenti vi sono persone che lavorano, magari fanno il panettiere ed entrano alle tre di mattina, giovani immigrati che frequentano corsi serali ed entrano alle 23-23,30.
Tra gli utenti vi sono persone che lavorano, magari fanno il panettiere ed entrano alle tre di mattina, giovani immigrati che frequentano corsi serali ed entrano alle 23-23,30.
Dietro queste strutture c’è un lavoro ampio ed approfondito, vengono svolte delle analisi preliminari e tutte le varie fasi dell’attività sono caratterizzate da un’attenta raccolta di dati. Questo studio ha anche la finalità di fornire a chi si occupa delle politiche sociali preziose informazioni per orientare le future politiche in quest’ambito. Il lavoro viene integrato da un confronto con altre realtà e con la costante formazione degli operatori. Va inoltre sottolineato che sull’emergenza freddo gravitano anche persone provenienti da altri Comuni come Merano, Bressanone e Brunico, nonché pazienti dimessi dall’ospedale di Merano, centri nei quali non vengono realizzate iniziative analoghe e dove le persone ritornano in primavera quando le strutture terminano la loro attività.